Nel celebre film “In & Out” del 1997 con Kevin Kline e Tom Selleck, nella scena finale un soldato appena congedato dall’esercito per essere rimasto paralizzato, invoca l’aiuto del suo compagno di armi che lo ha lasciato in cima alle scale del tribunale. I due si sono appena confessati il loro amore, ma il primo rimane bloccato in cima alla scalinata, mentre il secondo va via guardando l’orizzonte, finalmente libero e fiero di poter dire di essere gay.

Da quel film alla decisione del Pentagono di permettere ai transgender di far parte dell’esercito e, soprattutto, ai gay, lesbiche e bisessuali, di poterlo dichiarare liberamente, sono passati quasi vent’anni.

Dal 1° luglio sarà permessa l’ammissione, in tutte le armate, di soldati transgender, finora costretti a nascondere la loro identità sessuale, pena la radiazione immediata.

Il primo leader gay

Eric Fanning, il nuovo Segretario generale, è il primo leader gay nella storia della US Army. Ashley Broadway-Mack, presidente dell’American Military Partner Association, ha dichiarato: "I nostri soldati transgender e le loro famiglie tireranno un bel sospiro di sollievo”.

Alla vigilia del gay pride e dell’Independence Day, una notizia del genere fa realmente tirare un sospiro di sollievo a tutti i militari transgender attualmente arruolati nell’esercito (circa 15.000 secondo il National Centre for Transgender Equality).

Ma forsedi più, se ci fidiamo della narrativa e del cinema degli ultimi anni, specchio di una società ipocrita, giacché era ipocrita non ammettere la forte presenza di gay e trans nell’esercito, pur di mantenere intatta l’immagine “macha” del soldato tutto muscoli come Rambo, che si cuce da solo le ferite e che “non deve chiedere mai” (piccola confusione con lo spot di una vecchia pubblicità, ma attinente al messaggio che intendiamo dare).

Un’altra misuradella US Army presa la settimana scorsa, prevede la presenza delle "soldate" donna nei combattimenti in prima linea. Entrambe le decisioni sono legate alla politica di apertura di Barack Obama, anche senon sono da escludere altri fattori determinanti.

"Ask & tell"

Da un lato c'è il tentativo disperato di un presidente uscente di riguadagnare la fiducia degli americani, nonostante i fallimenti che gli si attribuiscono (soprattutto da quella parte "scorretta" di politica capitanata da Donald Trump).

Inoltre, ci chiediamo come mai proprio una settimana dopo la strage di Orlando, durante la quale 49 innocenti appartenenti alla comunità Lgbt hanno tragicamente perso la vita, sia arrivata la prima bella notizia dalla Casa Bianca e, una settimana dopo, la seconda.

Il massacro di Maten nel Pulse ha segnato una nuova pagina nella storia dei martiri, vale a dire di quelle persone che si sono sempre ritrovate a fare giustizia per i propri diritti e per quelli delle propria comunità, pagando con la vita. E in questo caso non è andata diversamente, a quanto pare.

Al Jazeera e ANSA hanno dato per prime la notizia sull’ammissione dei trans nell’esercito. Quello su cui dovremmo riflettere è: perché serve morire per rivendicare il proprio diritto alla vita?

Perché finora qualcuno si è arrogato il diritto di decidere qual è la vita “giusta” e quale invece quella da punire con la radiazione da un organo nazionale come l’esercito? E ancora, a quante altre stragi dovremo assistere prima che l’essere umano si renda conto che è soltanto un animale (neanche tra i più intelligenti), e che è ora che la smetta di esercitare il proprio potere sugli altri anziché su se stesso?

La legge “Don’t ask, Don’t tell” (“Non chiedere, non dire”) finora vietava la presenza di transgender e regolava quella di gay, lesbiche e bisessuali nell’esercito a patto che non lo dichiarassero. Normativa introdotta nel 1993 da Bill Clinton, marito di Hillary Clinton, attuale candidata democratica alle presidenziali di novembre, la quale ha spesso dichiarato in passato di essere contro i matrimoni gay, e che durante la campagna elettorale ha cambiato idea.