«Negli Stati Uniti la radio ha impiegato trent’anni per raggiungere sessanta milioni di persone, la televisione ha raggiunto questo livello di diffusione in quindici anni; internet lo ha fatto in soli tre anni dalla nascita del world wide web» (Castells1996)
Tre righe per esprimere in maniera esatta un concetto di grandi proporzioni.Castells espone in modo chiaro la portata del cambiamento senza precedenti al quale tutti stiamo assistendo. La storia dei mezzi di comunicazione di massa può essere letta come una lunga trasformazione che va dalla scarsità di informazione, all’abbondanza della stessa.
Cambiamento da leggere in duplice chiave: da quanta informazione si passa a che tipo di informazione veniamo messi a conoscenza.
Più o meno per tutta la prima metà del secolo Novecento i mezzi e i messaggi pubblici circolavano in numero assai ristretto, con poche fonti dalle quali attingere. Con il passare degli anni e grazie all’innovazione tecnologica, il numero delle emittenti di vario genere è esponenzialmente aumentato. Tanto che è possibile parlare di una situazione di abbondanza nella quale è difficile orientarsi per avere non una corretta informazione, ma la corretta informazione.
A quale cambiamento ha condotto questo importante passaggio?
La parola cultura deriva dal verbo latino “colere”, coltivare.
Il termine dà già l’idea di qualcosa che nasce se lo si alimenta (magari nel modo corretto). Nell'antichità l’utilizzo del termine è stato esteso a quei comportamenti di devozione verso gli dei che poi ha portato all’utilizzo del termine "culto" con significato di insieme di conoscenze.
La cultura è ciò che permette di avere delle opinioni, delle credenze che caratterizzano un gruppo umano.
Più in generale la cultura è ciò che noi sappiamo del mondo che ci circonda.
L’assetto antropologico del genere umano e il suo modo di fare cultura sono probabilmente modificati e forse è proprio la cultura che rischia di perdere la sua natura più profonda, quella legata al significato intrinseco del termine stesso che abbiamo visto poco più sopra.
Ci troviamo a dover gestire una matassa indefinita di informazione che rischia di deviare i molti che non sono in grado di fare barriera con la buona informazione.
Gli stessi molti che potranno poi comunque partecipare allo scambio di quel bene comune preziosissimo per ogni generazione; la cultura appunto, senza la quale il patrimonio culturale non esisterebbe.
La globalizzazione, la digitalizzazione e la progressiva diffusione delle nuove tecnologie stanno cambiando e cambiando in modo definitivo il modo in cui il patrimonio culturale viene prodotto e poi percepito.
Si compie un’analisi solo a metà quando si sostiene che la rivoluzione sia stata, e continui ad essere, esclusivo appannaggio del mondo digitale.
È anche una rivoluzione che investe i nostri valori e le nostre capacità di discernimento, è una rivoluzione umana che come tale porta con sé pregi e difetti.