”Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai.”

George Orwell

Guerra o non guerra? Sembrerebbe essere questo il problema che l’Occidente si sta ponendo negli ultimi due anni a causa di un movimento terroristico medio-orientale, lo Stato Islamico. L’attenzione mediatica e di conseguenza quella di tutti gli occidentali è, quindi, incentrata sul terrorismo e sulle domande ad esso relative: come evitarlo? come contrastarlo all’origine?

da cosa nasce tutto questo odio? Dopo i fatti di Parigi i pareri si moltiplicano giorno per giorno e sempre più nascono nuove tesi talvolta improbabili e inverosimili. Emblematiche a questo proposito le parole pronunciate qualche mese fa dalla candidata alla corsa verso la Casa Bianca Hilary Clinton: “L’ISIS è un prodotto degli Stati Uniti.”

Il pretesto

L’11 settembre 2001 alcuni aerei statunitensi furono dirottati e pilotati fino a impattare contro le Torri Gemelli e il Pentagono. Si contarono quasi 3000 vittime. L’indice di gradimento di Bush, che fino a quel momento era molto basso, si alzò vertiginosamente nei giorni successivi. Tutti gli americani si sentivano sotto la grande ala protettiva del governo e del presidente.

Nei mesi dopo l’attentato, grazie a ricerche effettuate dai servizi segreti inglesi, iniziarono le prime operazioni per “stanare”, termine che usò lo stesso Bush nella campagna mediatica anti-terrorismo, Osama Bin Laden in Afghanistan. Queste azioni, come documentato da diverse testimonianze, furono estremamente lente e poco efficienti.

Erano solo una dimostrazione che qualcosa si stava facendo, che l’America si era proclamata come “difensore” della libertà e della democrazia occidentale.

L’azione

Nei mesi si delineò, soprattutto con la forte ritirata dell’esercito americano dalle operazioni in Afghanistan, un progetto molto più ampio e più complesso, che mirava ad un solo obiettivo che venne raggiunto il 19 marzo 2003: l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti.

Un paese sovrano, com’era l’Iraq, nel giro di pochi mesi venne messo a ferro e fuoco dalle truppe statunitensi, che distrussero case, infrastrutture e famiglie intere. Dopo aver sfruttato le ingenti riserve di petrolio presenti nei deserti iracheni, gli Stati Uniti si “volatilizzarono” e lasciarono un paese, che fino a poco tempo prima era stato sotto il loro controllo militare, in mano alle centinaia di fazioni che dominavano la scena in medio-oriente, non curandosene minimamente.

Dalla fine delle maggiori operazioni americane, in Iraq iniziò una feroce guerra civile che fece scontrare duramente movimenti estremisti che volevano salire al potere. Tra questi, il meglio organizzato e finanziato era proprio lo Stato Islamico, che era caratterizzato e lo è tutt’ora dall’integralismo religioso.

Ai vertici dello stato islamico vi sono ancora adesso gli amministratori militari del governo di Saddam Hussein, che, dopo la sua caduta, si riorganizzarono. Le radici dello stato islamico, quindi, sono molto più profonde e complesse di quanto si possa credere. Si potrebbe definire il movimento una vendetta, una vendetta nei confronti dei torti subiti dall’Occidente. Difficile è arrivare ad una conclusione. Alcuni preferiscono scegliere la via diplomatica per evitare un conflitto armato. Gli oppositori replicano che l’ISIS non è uno stato riconosciuto dalle Nazioni Unite e sostengono la guerra, il conflitto armato, le bombe, i morti, eserciti di fanteria. Quest’ultimi dovrebbero riflettere la citazione di Orwell: la guerra è fatta per non finire mai.

È così. Qualsiasi guerra sia stata iniziata nell’ultimo secolo non è ancora del tutto conclusa. Gli scenari più evidenti sono il Vietnam, dove la presenza degli Stati Uniti è ancora imponente, l’Afghanistan e lo stesso Iraq. Imbastire una nuova guerra porterebbe solo altra instabilità in una zona che è già devastata dalle guerre civili.