Ha già racimolato più di 650 milioni in giro per il mondo, ripagando ampiamente i 200 milioni di budget e gettando la base per una serie di altri stand-alone (fra cui quello, attesissimo sul giovane Han Solo). Rogue One aveva un obiettivo mica male: fare da ponte fra l’Episodio III e l’Episodio IV e riempire un buco di trama, l’ombra che circonda la missione con cui i Ribelli hanno messo le mani sui piani della Morte Nera. Esperimento riuscito? Sì, ma con qualche riserva.

Profumo di vecchi ricordi

Rogue One gioca con la nostalgia dei fan storici meglio di Il risveglio della Forza.

L’atmosfera è quella cupa, del V Episodio, quando la speranza devi andare a cercarla a forza, scavando fino a romperti le unghie. I protagonisti sono tutt’altro che campioni di virtù, persone spesso spezzate da una guerra logorante e dallo strapotere tossico dell’Impero, che tutto saccheggia per la sua maggior gloria. E poi ci sono i riferimenti, abbondanti ma tutti graditi e ben inseriti, ai vecchi personaggi: un generale Tarkin – ricostruito in computer grafica su una controfigura – affilato e crudele come lo ricordavamo; Darth Vader che appare in tutta la sua terrificante magnificenza; C3PO e R2D2 al margine di una scena concitata che discutono. Ce n’è per i nuovi e vecchi fan, in fondo. E la storia in sé ha il pregio di concentrarsi su un solo filo di trama, senza mettere in mezzo troppi discorsi collaterali.

Sarà forse il suo status di film minore, non inserito nella serie principale, ad aver dato agli autori la libertà di essere crudeli e realisti fino alle estreme conseguenze, ma è decisamente una storia più rinfrescante dei polpettoni pesanti e moralmente educativi a cui la Disney ci ha abituato con le ultime saghe portare al Cinema.

Pezzi sconnessi di un puzzle incongruente

Ci sono però anche i problemi e sono problemi primariamente tecnici. La trama non scorre, si inceppa e non ingrana mai davvero, perché tutto ciò che è Rogue One è una giustapposizione infelice di scene sconnesse fra loro. Troppi personaggi sparpagliati in giro per la galassia, troppi cambi scena che rivelano tagli infelici.

L’impressione finale è quella di uno spiegone inconcludente, per certi versi, un grande videoclip (un po’ come è accaduto a Suicide Squad) che mette troppa carne a cuocere e perde parte della sua profondità per strada. I personaggi sono troppi, caratterizzati in modo superficiale, e per uno stand-alone è grave, dato che tutto dovrebbe aprirsi e chiudersi nel giro delle due ore e rotte concesse alla pellicola. L’impressione – pensando che gli autori hanno dovuto aggiungere scene, perché la prima proiezione non è risultata gradita ai produttori – è di un minestrone di worldbuilding che non sempre intrattiene al meglio. Non si entra mai davvero nel vivo dell’azione, a parte, forse, con la meravigliosa battaglia spaziale sul finale che riporta il fan nostalgico ai fasti della prima trilogia.

Rogue One dà l’impressione di essere un cavallo su cui la Disney non ha voluto scommettere troppo ed è un peccato. La storia era valida, lo svolgimento andava curato con più attenzione – ma questo, purtroppo, è un problema endemico a tutto il cinema americano contemporaneo. Voler fare troppo, volerlo fare in serie, finire per farlo sempre con troppe imperfezioni. Inaccettabile quando si parla di progetti per cui vengono stanziate cifre come quella di duecento milioni di dollari.