175 milionidi dollari spesi, un parterre di super-cattivi pronti al peggio, una colonna sonora che va da House of Rising Sun a Bohemian Rhapsody passando per Wiz Kalifa, gli Imagine Dragons e i Twenty One Pilots, una fotografia cupa, costumi sgargianti e un susseguirsi instancabile di effetti speciali, dai trailer Suicide Squad prometteva tutto. Un film di supercattivi scorretto, sulla falsariga del fortunato live action su Deadpool, da tenere lo spettatore incollato alla poltrona e subissarlo di scene d’azione serratissime e rivolgimenti di trama tutt’altro che scontati.

All’uscita dal Cinema, tuttavia, la sensazione è un’altra: belli i colori, belle le luci, ottima la musica… ma la trama? Non pervenuta.

Più un videoclip che un film

A David Ayer, che è anche sceneggiatore del film, piace vincere facile: se metti in fila i Queen, i Rolling Stones e gli Animals e affidi i ruoli chiave a personaggi del calibro di Viola Davis – che porta la sua Annalise di HTGAWM a livelli ancora più sfacciatamente crudeli – Will Smith, Jared Leto e Margot Robbie, puoi davvero costruire un film solo su musiche e battaglie coreografate. Ed è più o meno quello che ha fatto Ayer.

Spiegare la trama di Suicide Squad diventa compito arduo e banale al tempo stesso: un gruppo di carcerati sporchi, cattivi e con capacità superiori alla media viene arruolato controvoglia per salvare il mondo, ora che Superman non è più fra noi a presentarsi come capace scudo contro la minaccia nascente dei metaumani.

Nei fatti tutti e 140 i minuti di girato sono un confuso susseguirsi di scene appiccicate a caso, salti temporali illogici, una lunga sequenza di apertura che ruba mezz’ora alla vicenda solo per presentare in modo patinatissimo vita, morte e miracoli dei componenti della squadra sucida – elementi che avrebbero potuto e dovuto essere svelati poco alla volta – e un classico cattivo più cattivo dei protagonisti che vuole distruggere il mondo perché… perché sì, motivazione non pervenuta, come la trama.

Metti un cast stellare e ignora tutto il resto

Certo si balla, letteralmente. La prima metà del film è più videoclip e scene ad effetto che dialoghi veri e propri e azioni utili per la storia. Se qualcosa Ayer ha dimostrato è stata la tendenza, sempre più netta quest'anno, dei film di supereroi al cinema di rivelarsi soltanto blockbuster acchiappa-soldi, che consentono alle case cinematografiche di sopravvivere alla crisi.

Non c’è molto anima in Suicide Squad ma se si riesce a non far caso ai buchi di trama, alle personalità dei protagonisti appiattite dalla schiacciasassi dei buoni sentimenti che – ahinoi – crea scenari degni di un cartone animato Disney, il susseguirsi serrato di musiche, inquadrature spettacolari ed effetti speciali a go-go intrattiene piacevolmente nelle due ore di sosta in sala. Sono gli attori, alla fine, a dare a Suicide Squad quel po’ di spessore che per lo meno non lascia la sensazione di aver buttato otto euro invano.

È Margot Robbie e la sua Harley deliziosamente folle e intimamente devastata dal suo rapporto travagliato col Joker la vera rivelazione. Bellissima, letale, in grado di girare scene di combattimento come quella dell’ascensore senza stuntman né fili invisibili, qualcosa lo dimostra, agli altri film di supereroi: anche in un gruppo quasi totalmente maschile, la vera star della storia può essere un personaggio femminile, che in quanto a carisma occupa la scena quasi totalmente da sola.

La prossima volta, però, un po’ di trama sarebbe gradita.