Dopo le parole di Papa Francesco e del Presidente Mattarella, i riflettori dell’agenda politica si sono riaccesi sul tema del #Lavoro, in particolare sulla disoccupazione giovanile che nel nostro paese non accenna ad arretrare. Gli ultimi giorni del 2016 si sono chiusi con le aspre polemiche suscitate dal Ministro del Lavoro Poletti. A margine di un'intervista ha infatti dichiarato che "è meglio non avere tra i piedi" alcuni #giovani connazionali che sono emigrati in cerca di lavoro.

C’è voluto il discorso di fine anno di Mattarella che, incarnando per la prima volta una veste più politica, ha voluto “tranquillizzare” gli italiani sulle priorità che il Governo dovrà seguire.

Anche il Papa, vicino a questi temi sociali, ha espresso il suo rammarico per il debito contratto con le nuove generazioni che sono costrette “a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono”.

Il punto è proprio questo: i lavori non esistono. Non esistono da un punto di vista quantitativo, non esistono da un punto di vista qualitativo.

Per ogni decremento del tasso di disoccupazione festeggiato dal precedente Governo, veniva trascurato l’incremento della non forza lavoro: un numero crescente di persone che fuoriesce dal mercato del lavoro perché sfiduciata dello status quo. E per chi ha un po’ di attitudine alle statistiche, sa che non è per niente un dato incoraggiante. Se poi si pensa al dato generale sull’occupazione dopato dalla pioggia di #voucher e dalle valanghe di collaborazioni finte autonome, risulta evidente che il mercato del lavoro italiano, al lordo delle riforme effettuate, è ben lontano dal raggiungere un equilibrio al rialzo.

La nota dolente rimane il Sud

Qui neppure i voucher, il #jobsact e le forme d’inserimento giovanile come Garanzia Giovani hanno stimolato una crescita endogena del lavoro. Già prima del referendum, allo studio dell’esecutivo c’era un intervento, inserito poi in legge di bilancio, per sostenere l’esonero contributivo e altre agevolazioni per le aziende del sud che decidono di assumere nuovi lavoratori dal 2017.

Per capirne le modalità di attuazione però bisognerà attendere un decreto interministeriale nel corso del nuovo anno. Quindi è ancora presto per capire quale sarà l’impatto generato da questa nuova misura.

Al di là dell’aspetto più strettamente economico, ci sono sicuramente altri fattori su cui sarebbe opportuno intervenire.

La cultura d’impresa nel mezzogiorno soffre ancora di un ritardo cronico. Sebbene le tantissime piccole e microimprese costituiscono un’enorme ricchezza per i territori, allo stesso tempo risultano fragili per l'alto tasso di mortalità aziendale e anche per la scarsa capacità di mettersi in rete. Molti imprenditori, inoltre, tendono ancora a cercare la cause della crisi nella retorica del lavoratore improduttivo. Non è raro sentire, dal profit al non profit, datori che affermano: “il lavoro c’è ma i giovani non hanno voglia di lavorare”. Ad affermarlo, la maggior parte delle volte, sono proprio quelli che vorrebbero usufruire o già usufruiscono di sgravi e benefici ma non hanno poi assolutamente idea di cosa voglia dire sviluppo delle risorse umane.

Uno dei propositi del 2017 per gli attori politici locali e nazionali quindi dovrebbe essere quello di vincolare le misure di defiscalizzazione alla capacità delle aziende di effettuare al loro interno interventi organizzativi che valorizzino la permanenza dei lavoratori.

Fin quando continuerà ad esistere questo scollamento tra misure economiche e cultura organizzativa del lavoro, i risultati rischiano di avere un’impennata positiva solo nel breve periodo, per poi ritornare allo stato di partenza nel lungo periodo.

Nel frattempo, proprio sul tema del lavoro, un nuovo referendum potrebbe ristabilire l’art. 18 e cancellare i voucher. E considerando l’impopolarità di questi strumenti e la crisi occupazionale in atto, non è difficile immaginare una nuova debalce per il governo se non interverrà in tempo anche su questi aspetti.