È un sisma che pare non avere termine. Un susseguirsi di scosse che tormenta le precarie esistenze d'Abruzzo, di Lazio e Umbria. Là nel cuore d'Italia che è cuore d'Europa, di civiltà. È macerie di muri, di case e di chiese. È terremoto e devastazione di vite, di futuro. Popolazioni a cui nulla resta se non l'orgoglio e la dignità. Frustrate dai disagi, immensi, di chi ha perso una casa e assieme ad essa una chiara e comprensibile prospettiva di futuro.

È dramma nel presente che non riesce a trovare una via d'uscita in un futuro oggi inimmaginabile, sepolto com'è, metaforicamente e non solo, sotto quei metri di neve che rappresentano l'ennesima dura prova per le popolazioni colpite dal sisma.

Il Terremoto è tutto questo ma oggi, a leggere i social è purtroppo molto di più.

Il terremoto di una comunità

È un sisma che questa volta va oltre e porta alla luce altre rovine finora ignorate o sottovalutate: la disintegrazione di un popolo che non sa più essere tale e che si manifesta in queste ore come tragedia nella tragedia del terremoto. Nazione ferita come altre volte nella sua storia ma contrariamente a ieri incapace di curare le sue ferite, che anzi getta sale accrescendo il senso di smarrimento che attanaglia l'Italia. Accuse insensate dal web, rivolte alla politica - colpevole adatta per tutte le stagioni - a quello Stato cui si attribuiscono le colpe per le sofferenze di tanti nostri concittadini che non hanno bisogno di indignazione ma di aiuto.

Contrapposizione politica al posto dell'unità nell'emergenza, in un non senso a cui solo la rabbia conduce. La rabbia. Vero male del nostro tempo. Vera piaga incurabile che nessuno è in grado di curare men che meno di guarire. Anzi. Nei giorni del terremoto si accrescono le fila di coloro che prosperano seduti su un Paese sempre più sprofondato nel gorgo del risentimento collettivo, della violenza verbale che non è sfogo ma morbo del nostro tempo.

La ricostruzione più difficile

Ricostruiremo mura e case. Ridaremo vita a borghi e paesi. Ci vorrà del tempo. Speriamo non troppo come in passato. Ma il timore è che non ridaremo il suo spirito ad una Nazione. Che i nostri figli vivranno in un'Italia non divisa ma frantumata in una miriade di focolai egoistici. Un popolo a cui a mala pena resta il tricolore quale simbolo unificante.

Anni e anni di sfiducia nelle Istituzioni portano oggi, in queste giornate drammatiche, a ritrovarsi senza quei preziosi vincoli di unità e solidarietà che hanno reso il nostro, nonostante tutto, un grande Paese.