Nelle politiche culturali nazionali si trovano una molteplicità di paradossi e incongruenze. Spesso, per evitare la chiusura forzata, sono sorte soluzioni che, seppur lecite di fronte alla legge, appaiono quantomeno "strane" sotto il profilo della legittimità morale. Il paradosso principale salta fuori quando cerchiamo di comprendere la macchinosità dei regolamenti legali a proposito di associazionismo culturale: l’associazione culturale è un circolo privato che propone attività di interesse culturale ai propri soci, che devono sottoscrivere una tessera annuale che permette l'accesso a numerose iniziative.
Le agevolazioni fiscali consentono alle associazioni di proseguire nella loro attività di pubblico interesse.
ARCI, l'iscrizione costrittiva e i numeri a caso
Cosa accade quando, seppur il biglietto di un concerto venga venduto sui canali di prevendita abituali, si è costretti a sottoscrivere uno statuto e a diventare soci di un'associazione? Succede che, quando si riportano i numeri degli iscritti sul territorio nazionale, si parla di cifre impressionanti, perché effettivamente i tesserati sono autentici, ma si tratta di persone che non sanno cosa hanno sottoscritto al momento del tesseramento: sono, in altre parole, soci senz’anima, figurine, comparse.
In un certo qual modo, i tesserati dell’ARCI sono un po' l’altra faccia della medaglia dei cattolici: anche questi ultimi, nel momento in cui vengono battezzati, rientrano indistintamente nel computo che fa della religione cattolica la più diffusa in Europa e nel mondo, anche se il 50% non mette piede in una chiesa da 30 anni.
E chissà quanti soci ARCI non risultano assolutamente in linea con i principi costitutivi dell’associazione.
Si potrà obiettare: se non ci si sente in linea coi principi dello statuto dell’associazione, allora si può evitare di andare ai concerti. Purtroppo la soluzione non è così scontata: se fino a qualche tempo fa i musicisti e le proposte culturali in genere erano in linea coi principi dell’associazione - e nello specifico dell’ARCI - per cui era più forte un senso di comunanza e condivisione tra la struttura organizzatrice e i fruitori, oggi lo scollamento assoluto tra le esigenze amministrative e logistiche e il profilo dei tesserati è responsabilità innanzitutto dell’associazione che, al principio di comunità, ha preferito (per esigenze economiche determinanti) salvaguardare i vantaggi fiscali.
Funziona come per le modalità di contratto atipico dell’attuale mondo del lavoro: le intenzioni sulla carta sono quelle di snellire il mercato occupazionale, di renderlo più dinamico, poi tutto si riduce ad un impresario che va dal proprio commercialista e chiede come può assumere una persona pagandola poco, restando vincolato contrattualmente il meno possibile.
Adesione all'ARCI come unica possibilità di sopravvivenza
Il valore e l’ideale si subordinano ad esigenze commerciali ed economiche: chi vuole organizzare delle attività culturali senza incorrere nelle restrizioni imposte dalla legge che spesso costringono alla chiusura, in altre parole se si intende sopravvivere nella propria proposta culturale sul territorio, si ha un’unica chance, ovvero l’adesione all’ARCI. Si tratta di un escamotage, che per molti versi è una garanzia di sopravvivenza per molte realtà che, all’infuori del circuito ARCI, non potrebbero permettersi di esistere.
Se lasciamo al lettore le considerazioni "morali", resta un fattore di comprensione sociologica che ci costringe a ripensare l’alto valore dell’associazionismo culturale-politico degli ultimi decenni.
Il tesseramento non è più un atto spontaneo di adesione a dei principi, l’ingresso in una comunità nella quale ci si riconosce, per la quale il concerto o l’evento culturale costituiscono un momento esemplare, ma una grande mistificazione che permette a quegli eventi di svolgersi, e l’impianto ideologico non è che una cornice di facilitazione esclusivamente pratica, totalmente svuotata di qualunque valore sociale.