Infine, pare intravedersi uno spiraglio di luce in fondo al tunnel oscuro della crisi Politica attuale: dopo l’incontro di ieri tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, pare esservi un’intesa tra il M5S e la Lega sul premier e sulla squadra di governo, nomi che oggi i due leaders “porranno sul tavolo” dinanzi a Sergio Mattarella.

L’incontro di ieri e di oggi

Sabato scorso il segretario federale del Carroccio aveva affermato che - scrive Repubblica - entro il giorno successivo avrebbe incontrato il capo politico pentastellato per “chiudere” sulla questione del premier e sui nomi dei futuri ministri.

Detto, fatto: Salvini ha infatti avuto un colloquio con Di Maio il giorno seguente e, in una successiva manifestazione tenutasi a Fiumicino, il leader leghista ha confermato - sottolinea ancora il quotidiano - che, nell’incontro del mattino, si fosse trovato un accordo sulla “rosa” del prossimo esecutivo, ma ha anche ribadito che né lui e né Di Maio siederanno a Palazzo Chigi. In realtà, pare che quella “lista” manchi di alcune “voci”; tenendo presente che lo stesso capo dello Stato, oggi, al confronto con le delegazioni giallo-verdi, potrebbe fare osservazioni o esprimere riserve sulla “rosa” che gli verrà presentata e, considerando appunto che su alcuni nomi di futuri ministri manchi l’opportuno compromesso, si può dire vi siano ancora vari ostacoli che intralcino il cammino del governo Lega-M5S.

I nomi

Qual è, dunque, il nome più “quotato” per la premiership del futuro esecutivo? Chi sono i “papabili” per i dicasteri? Il nome del prossimo presidente del Consiglio che circola fra i media in queste ore con più insistenza è quello di Giuseppe Conte, docente di Diritto privato all’Università di Firenze e alla Luiss di Roma.

Sempre sulla base delle indiscrezioni della stampa, pare invece che il ministero del Lavoro o dello Sviluppo vada a Di Maio (nei giorni scorsi si era supposto anche che il capo politico cinquestelle diventasse il nuovo ministro degli Esteri ndr) e che quello degli Interni sia presieduto da Salvini. Sembra, infine, che a Giampiero Massolo spetterà il dicastero degli Esteri e a Giancarlo Giorgetti quello dell’Economia.

Equità? No, grazie

Economia, esatto: è da questo versante che minaccia di scatenarsi la valanga che, in breve tempo, corre il rischio di sommergere l’esecutivo nascente. Sono proprio in primo luogo, in altre parole, i cambiamenti previsti nella fiscalità a svelare che la luce in fondo al tunnel dello stallo politico attuale possa non essere splendente, ma grigia, incerta. Incerto: è proprio così che, fuor di metafore, potrebbe essere il futuro economico/fiscale italiano se effettivamente la cosiddetta “flat-tax” venisse approvata. Si verificherebbe, in tal caso, una piccola rivoluzione. Le rivoluzioni distruggono per poter creare: un caso emblematico è quella francese, che ha messo la parola fine all’antico regime e ha sparso i semi della successiva società borghese.

La rivoluzione economico-fiscale della flat-tax, invece, condurrà all’abbandono degli attuali scaglioni di imposizione sul reddito (i quali erano orientati dal principio regolatore di una certa equità sociale ed economica) per la creazione di due sole nuove aliquote, una al 15% (per redditi inferiori a 80 mila euro annui) ed un’altra al 20% (per redditi superiori ad 80 mila euro). Frenando un istante gli iniziali facili entusiasmi, si scopre che in realtà questa flat-tax non farà altro che produrre nuove sperequazioni economiche e quindi ulteriori disuguaglianze sociali. Perché, semplicemente, questa norma non è regolata dal principio dell’equità: i “ricchi” non contribuiranno all’economia statale secondo le loro vere possibilità, e si “arricchiranno” ancora.

Si potrebbe utilizzare una metafora per raccontare meglio tutto questo: con la flat-tax alcuni, che siedono già ad una tavola imbandita, avranno durante i loro pasti anche un panino bianco in più. Gli altri, la cui mensa non è affatto luculliana, avranno, grazie al provvedimento, una briciola di pane in più. Ecco, in breve, la flat-tax.