Ieri centomila inglesi hanno sfilato a Londra per chiedere al Parlamento un nuovo referendum sulla scelta di uscire o meno dall'Europa. Una manifestazione imponente, come non se ne vedevano dai tempi dalla guerra del Golfo in Iraq. Il corteo è sfilato nel centro della città, passando davanti a Downing Street per concludersi di fronte al Parlamento di Westminster. Sul palco gli organizzatori hanno chiesto un nuovo “people’s vote”, un altro voto popolare. I manifestanti lamentano che la scelta fatta nel 2016 non sia stata consapevole, non era stata fatta un'informazione precisa con tutti i pro e i contro.
La propaganda ha raccontato verità lontano della realtà e dai fatti seguiti al referendum. Le parti principali in gioco per rimanere o uscire dall'Europa erano rispettivamente laburisti e sovranisti conservatori.
Cosa è successo dopo la Brexit
A distanza di due anni le promesse referendarie sono venute meno. La ventilata ripresa del Pil e il reinvestimento dei costi europei a favore dei cittadini inglesi non si sono visti, la convenienza di una minore burocratizzazione europea rischia di svanire a favore di un effetto contrario. Se i benefici stentano a concretizzarsi le note dolenti si toccano con mano.
La Bank of England aveva preannunciato alla vigilia del voto che sarebbero stati a rischio posti di lavoro e che la sterlina avrebbe perso valore rispetto a euro e dollaro.
Poi la City ha cominciato a subire perdite dalle multinazionali che si sono attivate per spostare le proprie sedi in altri Paesi come Svizzera, Germania, Francia. Lo spostamento della sede dell'Agenzia del farmaco (Ema) è stata una delle prime conseguenze delle Brexit, con una scomparsa di indotto di quasi due miliardi l'anno e la perdita di circa 900 posti di lavoro.
Anche l'Autorità bancaria europea (Eba) ha cambiato sede. Si prevedono numerosi problemi per quanto concerne il turismo, il roaming della telefonia mobile e il lavoro, dovrà essere rivisto il sistema dei visti e dei permessi.
La Scozia dopo la Brexit ha messo in discussione il referendum del 2014 per rimanere nel Regno Unito, attualmente ha intenzione di proporre un nuovo voto popolare entro dicembre 2018.
La Scozia come Irlanda del Nord è sempre stata favorevole alla permanenza nella Ue, in occasione del referendum del 2016 ben il 62% ha votato per rimanere in Europa.
Ultimi avvenimenti, la guerra dei dazi
Se in un primo momento la perdita di valuta della sterlina rispetto a dollaro ed euro poteva apparire come un'opportunità per aumentare le esportazioni, dopo la guerra dei dazi cominciata da Trump a Europa, Russia, Canada e Cina, ora appare concreta la possibilità che i vantaggi possano svanire. Immaginare di non subire gli effetti di un'ipotetica guerra doganale tra potenze commerciali per alcuni dimostranti è pura fantasia.
Le ragioni per un nuovo referendum
In aggiunta alle motivazioni economiche e politiche descritte, bisogna considerare che il referendum del 2016 si è giocato con uno scarto di voto di poco più del 3% contro un'astensione del 30% e una scarsa partecipazione da parte dei giovani, gli stessi che oggi manifestano contro la separazione.
Inoltre Scozia e Irlanda del Nord hanno votato con forte maggioranza per rimanere dentro la Ue, anche se la Brexit ha riacceso la voglia di separatismo dal Regno Unito. La forte partecipazione popolare non va però del tutto sottovalutata, le ragioni per l'ipotesi di un nuovo voto popolare non sono campate in aria.