Deve essergli sembrato di tornare a scuola, da solo in un'aula vuota, col professore che lo guardava severo: l'interrogazione di recupero, l'ultima occasione. L'insegnante severo erano gli Stati Uniti, mentre l'alunno con le mani sudate che cercava di accampare scuse e promesse di fare meglio i compiti era Donald Trump.

Questo lo scenario che il presidente americano ha trovato al rientro dal vertice di Helsinki con Vladimir Putin. Accusato più o meno apertamente di tradimento dalla stampa, messo in croce da democratici e repubblicani per le sue dichiarazioni pro-Putin e contro l'FBI, Trump ha semplicemente tentato di negare tutto, anzi, ha dichiarato che voleva dire l'esatto contrario.

La retromarcia di Trump: "intendevo dire l'opposto"

Non ha fatto giri di parole e non è ricorso a complicate speculazioni filosofiche il presidente Usa. Ha dichiarato semplicemente di pensare l'opposto di ciò che aveva detto ad Helsinki. Ora ha piena fiducia nell'intelligence statunitense, accettandone appieno le conclusioni sulle ingerenze russe nelle elezioni americane, mentre solo poche ore prima il mondo lo aveva sentito dichiarare che si fidava più di Putin che dell'FBI. Verrebbe quasi da ridere, se non si trattasse dell'uomo che guida la maggior potenza mondiale.

Sollievo o preoccupazione?

Difficile dire se il "ripensamento" di Trump porterà sollievo o ulteriore preoccupazione nella Politica statunitense (e, di immediato riflesso, in quella mondiale).

Che il leader della Casa Bianca non abbia una vera e propria visione politica e geopolitica è noto da tempo: tutto ciò che ci si può aspettare da lui è il tentativo - più o meno riuscito a seconda dei casi - di difendere gli interessi economici e commerciali statunitensi nel mondo. Nessuna visione d'insieme, nessun progetto di lungo periodo: solo e sempre una gran dose di pragmatismo.

Fare quello che in un determinato momento c'è da fare, dire quello che c'è da dire, o che i media e la politica vogliono sentirsi dire.

La retromarcia, in questo caso, può generare sollievo: il presidente compie errori ma non persevera, ammette e corregge. Ma, allo stesso tempo, questo comportamento ingenera anche una pericolosa crisi di fiducia: quanto potremo credere, d'ora in poi, alle parole del presidente Usa?

Quanto si fideranno di lui gli interlocutori mondiali? Può un leader internazionale che non ha problemi a smentire "in toto" se stesso a distanza di 24 ore, dire la propria su scenari di incredibile complessità geopolitica come quello medio-orientale o europeo? Cominceremo a capire di più da oggi, quando arriveranno le prime reazioni dei leader di tutto il mondo alle nuove parole di Donald Trump.