Le ultime notizie provenienti da Tripoli ci informano che le milizie di Misurata, formalmente alleate del governo libico di Al Sarraj, hanno ripreso il controllo della capitale e l’emergenza, almeno temporaneamente, sembra rientrare. Nei giorni scorsi, infatti, i quartieri di Tripoli Sud erano stati occupati dalla settima brigata di Tarhuna, un reparto di ex-gheddafiani ora al servizio dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar.
La situazione, tuttavia, non si è sicuramente acquietata e può essere risolta solo sul piano politico. L’Italia, che ha sempre puntato sul governo ufficiale di Tripoli, ha commesso alcuni errori che potrebbero metterla in secondo piano nella risoluzione della crisi che attanaglia da anni il paese di che si trova sulla sponda opposta del Mediterraneo.
Due gli uomini forti nel caos libico
Dopo la vittoria sullo Stato islamico a Derna, da parte delle truppe di Misurata, nelle aree nevralgiche del Paese si fronteggiano due uomini forti: il capo del governo ufficialmente riconosciuto dall’ONU, Fayez al-Sarraj, e il generale Khalifa Haftar. Questi, con le sue milizie, controlla l’intera Cirenaica, cioè più della metà del Paese. Haftar è appoggiato dall’ultimo parlamento libico ufficialmente eletto, con sede a Tobruk, che non ha mai riconosciuto il governo di Tripoli.
Il controllo territoriale del primo ministro al-Sarraj non è mai andato oltre i dintorni di Tripoli e della striscia che collega la capitale con Misurata, sino a Derna. L’interno, cioè il Fezzan, è in mano a un centinaio di tribù seminomadi, in parte in contatto con Al Qaeda; sono queste a controllare e a gestire il traffico dei migranti, dirottandolo verso Tripoli.
I governi italiani – come detto – hanno sempre puntato su al-Sarraj e con lui hanno stretto accordi sul contenimento dell’imbarco dei migranti con destinazione Italia; da ultimo, pochi giorni fa, il ministro dell’Interno Salvini. Limitarsi soltanto a considerare il problema migranti è, però, una visione limitata degli interessi italiani in libia.
L'ex-colonia, infatti, è sempre stata la nostra principale fonte di approvvigionamento di petrolio; ancor oggi, l’Eni è la prima azienda petrolifera sfruttatrice dei pozzi libici.
L’Italia isolata a sostenere Tripoli
Nello scacchiere internazionale, inoltre, i due contendenti si sono trovati anche altri sponsor: Francia, Egitto (con alle spalle la Russia), Arabia Saudita ed Emirati, infatti, appoggiano Haftar; a fianco di al-Sarraj, nonostante l’investitura dell’ONU, invece, ci sono soltanto Qatar e Turchia, cioè due partners molto screditati nel mondo occidentale.
Sostanzialmente, quindi, l’Italia si trova isolata a sostenere al-Sarraj.
A questo punto, poco più di un anno fa, è intervenuto il presidente francese Macron che – bypassando Roma – ha strappato ai due contendenti l’impegno di consentire elezioni generali per il 10 dicembre prossimo. Dopo pochi mesi, tuttavia, al-Sarraj ha cominciato a ostacolare l'allestimento delle consultazioni, temendo di essere scalzato da un uomo di fiducia del suo avversario. Per questo motivo alcuni giorni fa sarebbero ripresi i combattimenti.
L’errore dell’Italia è stato quello di non imporre al suo alleato di rispettare i suoi impegni sul voto. Qualsiasi risultato fosse uscito dalle urne, infatti, ci avrebbe portato un Paese un po' meno diviso di quello attuale, come conviene ai nostri interessi economici.
Ci siamo inimicati la Francia senza motivo e abbiamo perso l’occasione fondamentale per guadagnarci l’appoggio di Haftar. Ora, al contrario, il generale libico è ancor più vicino alla Francia. Essendo la francese Total la concorrente principale di Eni nello sfruttamento dei pozzi, questa Politica ci potrà danneggiare anche dal punto di vista economico.