Incredibile. Questa parola esprime tutto lo stupore causato dalla vicenda della famiglia Di Maio. Dopo l'inchiesta delle Iene, che aveva portato la luce sui pagamenti in nero effettuati dall'azienda di famiglia di cui Luigi Di Maio, attuale vicepremier, risulta socio al 50%, ogni giorno escono dettagli che lo mettono sempre più in difficoltà.

Le colpe dei padri ricadono sui figli?

Risulta evidente come non debba interessare l'opinione pubblica il fatto che Antonio Di Maio pagasse in nero alcuni suoi operai. Né tantomeno che avesse un debito contratto con l'erario.

Il problema si porrebbe, ma a livello politico, se il vicepremier fosse diventato socio al 50% di quell'azienda e se lui stesso abbia funto da prestanome, per evitare che il fisco aggredisse il bene di famiglia. La questione è da verificare, ma è prettamente Politica.

Per Luigi Di Maio questo deve sembrare un incubo. Dopo aver passato un'intera legislatura, quella passata, ad attaccare i padri di Maria Elena Boschi e Matteo Renzi, poi entrambi usciti puliti dalle loro vicende giudiziarie, oggi si ritrova a dover lasciar andare a fondo il padre Antonio, per evitare che questi lo trascini giù con lui. Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, dice il vecchio detto, ma è anche vero che chi di spada ferisce, di spada perisce.

Una sorta di contrappasso dantesco.

Di Maio: "Ha chiesto scusa, chiudiamola qui"

Arriviamo alla questione dirimente. Luigi Di Maio, nel tentativo di difendersi dal coinvolgimento nella faccenda relativa all'abusivismo e alle assunzioni in nero, dopo che il padre, su Facebook ha fatto mea culpa, chiede alla stampa di chiudere così la questione.

La cosa più grave è che queste parole vengano da un personaggio che siede nelle istituzioni, che dovrebbe rappresentare la legge e il rispetto di essa nella forma più alta. Invece, il messaggio che il capo politico del M5S fa passare è quello di un signore che ha sbagliato, e tanto, ma che ha chiesto scusa pubblicamente, e che quindi va perdonato, dimenticando tutte le implicazioni giudìridiche del caso.

La stampa dovrebbe quindi smetterla di porre Antonio Di Maio sotto i riflettori delle telecamere, tanto ha chiesto scusa. Che importa se eventualmente ha costruito abusivamente? Ha chiesto scusa! Perché la stampa continua a perseguitarlo per dei pagamenti in nero? Ha chiesto scusa. È allucinante che si arrivi a questo livello di comunicazione. La caratura del politico si delinea anche e soprattutto in base al linguaggio che utilizza.

Chi scrive ritiene, dunque, che se si verificasse la situazione in cui Di Maio abbia funto da prestanome per impedire al fisco di colpire il bene di famiglia, il Ministro dovrebbe dimettersi seduta stante. Andrebbe bene anche senza proferir parola, rimediando alle tante sbagliate già dette.