In Myanmar, o Birmania, è in corso un colpo di Stato. O almeno così riporta la nota di questa mattina della Farnesina che denuncia l'arresto di Aung San Suu Kyi e del presidente Win Myint. Quest'ultimo era stato eletto nel marzo del 2018 per ricoprire la più alta carica istituzionale del Paese sostenuto dal partito di Suu Kyi.

Recentemente il governo Birmano era stato accusato di reprimere anche in modo violento alcune minoranze interne al Paese, in particolare la stessa Suu Kyi è apparsa davanti alla Corte internazionale di giustizia sul caso del genocidio dei Rohingya.

Nel gennaio del 2020 la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un "rischio concreto" e ha chiesto al governo birmano maggiori sforzi per porre rimedio alla situazione.

Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991

Aung San Suu Kyi è la fondatrice e leader della Lega nazionale per la democrazia. Vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1991, proprio a seguito della vittoria alle elezioni generali del 1990 dove questo nuovo movimento aveva strappato un sostanzioso 59% delle preferenze. Quelle elezioni furono annullate dai militari che arrestarono Suu Kyi, dando così inizio al suo complicato rapporto con la detenzione cautelativa. Dal 1988 al 2010 le libertà individuali della leader birmana sono continuamente minacciate dal regime che cerca in tutti i modi di scoraggiarla dal continuare la carriera Politica.

Le pressioni dell'Unione Europea, degli Stati Uniti e di Papa Giovanni Paolo II non riescono a farle ottenere la scarcerazione, ma ne accrescono la popolarità sia internazionale che locale. In effetti, dalla sua definitiva scarcerazione nel 2010 è stata prima eletta nel parlamento birmano nel 2012 come leader dell'opposizione, per poi diventare Consigliere di Stato dopo le elezioni generali del 2016 vinte dal suo partito.

Le recenti elezioni del novembre del 2020 hanno riconfermato il risultato delle precedenti, generando un notevole dissenso tra le fila militari del Paese. Questa mattina (il primo febbraio del 2021) il regime ha arrestato Suu Kyi rovesciando il risultato delle urne.

La situazione in Myanmar

Ex colonia britannica, la Birmania è una dittatura militare dal colpo di stato del 1962, nel 2010 aveva dato segnali forti di un cambiamento stranamente pacifico e apparentemente democratico, ma gli eventi di oggi purtroppo segnano l'ennesima pagina drammatica nella storia di un paese bellissimo, che speriamo si risolva presto e soprattutto definitivamente.

Secondo Damien Kingsbury dell'Australia Myanmar Institute, dietro il regime ci sarebbero interessi cinesi e l'accusa di brogli elettorali sono una scusa per rovesciare il governo ritenuto probabilmente poco filocinese. Nel frattempo, la folla inizia a radunarsi per le proteste mentre il generale Hlaing ha annunciato l'imposizione dello stato d'emergenza per un anno e ha bloccato le comunicazioni e l'accesso a internet nelle principali città.

Infatti appare sempre più chiaro come la democrazia birmana sia in realtà sotto il controllo del regime militare, sostenuto da un'organizzazione totalitaria chiamata l'Associazione di Solidarietà e dello Sviluppo del Sindacato.

Il regime ha non poche difficoltà a contenere e controllare una nazione così eterogenea e l’esercito del Myanmar si è reso responsabile di diversi crimini di guerra e altre gravi violazioni, come arresti arbitrari, tortura e altri maltrattamenti e attacchi illegali nei confronti della stessa popolazione, come è scritto nel rapporto 2019-2020 redatto da Amnesty International.

Mentre il Paese sembra sull'orlo di una guerra civile, l'unica arma che resta al mondo Occidentale è la parola. Il dovere di parlare del Myanmar, parlare dei Rohingya, parlare della detenzione di Suu Kyi.