Diana ha sedici anni e frequenta l'istituto Pascal a Roma, indirizzo Bio-tecnologico. Ha pubblicato un video su Instagram, riproposto dalla pagina di ScuolaZoo, in cui affronta il tema della didattica a distanza. "Non siamo stati minimamente ascoltati né considerati", afferma la giovane. Quello che sappiamo per certo è che, dopo un anno dallo scoppio della pandemia, la situazione scolastica è ancora molto confusa.

Didattica a distanza nelle scuole superiori

L'anno scolastico 2020/2021 ha avuto un inizio incerto: tra i nuovi contagi della seconda ondata e quarantene preventive, non sapevamo quale sarebbe stato il futuro dei giovani italiani.

Nonostante le difficoltà, dopo le vacanze di Natale, un numero altissimo di studenti ha varcato la soglia della propria Scuola. Infatti, negli istituti di istruzione superiore la didattica è di nuovo in presenza, ma solo per il 50%. Per chi non fa parte del mondo scolastico questa divisione può apparire quantomeno confusa: nell'immaginario collettivo, quando si parla di 50%, si pensa di dover "spaccare" una classe a metà. In realtà ciò non accade, perché la divisione avviene sul numero di studenti dell'istituto, non delle singole classi. Per fare un esempio pratico ipotizziamo che una scuola sia composta da un totale di 30 classi: si crea un gruppo A composto da quindici di esse e un gruppo B dalla restante metà.

Il lunedì, il mercoledì e il venerdì solo il gruppo A avrà lezione in didattica a distanza, mentre il gruppo B andrà in presenza. La settimana successiva si invertiranno i giorni, così a turno tutti potranno andare in presenza e la scuola non sarà mai completamente piena.

I mezzi pubblici sono il vero problema

Secondo Diana il sistema al 50% non basta.

Infatti, nei giorni in cui hanno lezione in presenza, molti studenti si recano a scuola con i mezzi pubblici che (a dispetto di tutto) sono affollati e non controllati. Per evitare un numero eccessivo di persone all'interno di un qualsiasi autobus sarebbe necessario aumentare le corse, ma ciò non è stato fatto. Nelle metropoli come Roma il numero di persone che usa i mezzi di trasporto pubblici è enorme.

Vedere i passeggeri schiacciati in pochi metri quadrati, con la situazione pandemica attuale, è inaccettabile. Per questo Diana afferma che l’unico modo per frequentare la scuola in sicurezza sia con la didattica a distanza. La giovane supporta la sua tesi anche citando la ministra Azzolina, che ha equiparato le lezioni online con la didattica in presenza. In realtà, la ministra recentemente ha mostrato un cambio di rotta: "La didattica a distanza non funziona più, sono molto preoccupata", ha dichiarato. Inoltre, ha tenuto a sottolineare che le scuole non sono luoghi a maggior rischio di contagio rispetto ad altri: "All'interno delle scuole il rischio è molto basso e lo testimoniano gli studi italiani ed europei.

La scuola si è organizzata molto bene. Io ho fatto tutto quello che potevo fare, chiedo a tutti di trattare la scuola non in modo diverso di come si trattano le attività produttive". La ministra ha invece ammesso la problematica dei mezzi di trasporto.

Didattica a distanza e comportamenti scorretti

Il governo ha fatto il possibile per andare incontro alle famiglie e garantire il diritto allo studio: ha prestato i computer a chi ne era sprovvisto e ha preso accordi con gli operatori telefonici, fornendo giga supplementari per sostenere la didattica a distanza. Nonostante questo, le lezioni online presentano alcuni problemi che non si verificherebbero se gli alunni fossero in presenza. Per quanto le intenzioni di Diana sembrino sincere, si possono fare diversi esempi di comportamenti non corretti che si sono verificati.

Ci sono studenti che si collegano alla lezione con microfono e telecamera spenti, sebbene vengano ripetutamente sollecitati ad accenderli. In questo modo è difficile insegnare e verificare se i ragazzi sono partecipi, perché non ci sono feedback visivi. Cosa impedisce ad un adolescente (solo in casa propria) di collegarsi con la scuola e contemporaneamente giocare alla Play Station? Beh, a meno che non abbia un senso di responsabilità profondamente radicato, nulla. Invece, nel caso sia attento e voglia seguire le lezioni, si pone un altro problema: persino i professori meno esperti utilizzano il naturale contatto visivo per valutare il livello di partecipazione, entusiasmo e comprensione della classe.

Il linguaggio non verbale e la mimica facciale della platea sono un feedback fondamentale per chi tiene un discorso. Privare un insegnante di tutto ciò crea un circolo vizioso in cui è difficile sia imparare che insegnare. La soluzione sembra ovvia e facile: obbligare gli studenti a tenere la webcam accesa, magari tramite la minaccia di una nota disciplinare. Avrebbe davvero senso usare la coercizione? Oppure vorremmo far capire che mostrarsi in camera non è un obbligo ma un segno di rispetto, di educazione civica, un modo per prendere seriamente la scuola e il proprio futuro? Un insegnante non può in alcun modo forzare uno studente ad accendere la videocamera né smentire una dichiarazione di malfunzionamento: a volte gli alunni riferiscono un guasto del dispositivo per sottrarsi alle interrogazioni orali.

Un altro punto critico è la valutazione degli apprendimenti: uno studente abituato a prendere voti alti (usando ausili disonesti a casa) dovrà fare i conti con le prove in presenza, spesso con risultati deludenti. Per esempio: Mario prende otto a scienze mentre si trova in didattica a distanza, ma poi torna a scuola e viene interrogato sugli stessi argomenti mostrando una conoscenza non sufficiente. A causa di queste e altre problematiche gli studenti di oggi, che sono i lavoratori di domani, apprendono ben poco e non sono consapevoli di ciò che realmente hanno imparato.

La didattica a distanza garantisce i diritti costituzionali

Gli articoli 3, 33, 34 della Costituzione Italiana garantiscono il diritto allo studio per tutti.

Quando la didattica a distanza viene capita, rispettata e accettata dagli alunni, diventa il mezzo per garantire i diritti costituzionali. Nessuno ha chiesto una situazione pandemica di emergenza, ma gli italiani sono noti per "fare di necessità virtù". Gli alunni che tengono un comportamento corretto anche quando sono online hanno capito la complessità della situazione che stiamo vivendo. Diana è tra coloro che desiderano studiare seriamente e vuole che il messaggio sia chiaro: lei e i suoi compagni non vogliono stare in didattica a distanza per semplice pigrizia. Anzi, molti avrebbero piacere a frequentare la scuola in presenza, soprattutto perché hanno intrapreso un corso di studi che richiede molte ore di pratica in laboratorio.

Purtroppo, soprattutto nelle città più popolate, le condizioni necessarie per studiare in sicurezza non ci sono. Diana sostiene che la didattica a distanza sia l'unico modo per continuare a studiare, almeno finché non verrà risolta la questione dei mezzi pubblici. La pandemia non finirà presto, perciò è necessario prendere al più presto provvedimenti per garantire agli adulti di domani un posto nel mondo.