Dopo otto scrutini, sei giorni di votazioni e svariati nomi buttati in pasto alla stampa, Sergio Mattarella è stato rieletto presidente della Repubblica.

Sergio Mattarella nel corso degli ultimi mesi aveva ripetuto più volte la sua indisponibilità a un secondo mandato. A riprova di ciò ci fu anche l’acquisto di una casa a Roma a novembre 2021 e un tweet in cui il suo staff stava preparandosi per il trasloco imminente. Tuttavia, le sue volontà personali hanno dovuto fare i conti con la debolezza del sistema politico italiano. É bene fare un passo indietro e cercare di capire perché si è ripetuto lo stesso scenario del 2013, quando venne rieletto Giorgio Napolitano.

La frammentazione parlamentare

L’attuale parlamento è composto principalmente da tre forze politiche che hanno avuto la meglio nelle ultime elezioni del 2018: Il Partito democratico, il Movimento 5 Stelle e la Lega. Forze politiche così diverse tra di loro che nessuno avrebbe mai pensato sarebbero riuscite a trovare un accordo per governare. E invece ci sono riuscite, aderendo tutte al governo Draghi nel febbraio scorso, pur continuando ad avere conflitti quasi quotidiani.

La rielezione di Mattarella non è un evento a sé stante, bensì un sintomo delle cause sopra citate. In particolare, un parlamento debole, composto da partiti deboli, a loro volta guidati da leadership ancora più deboli e forse poco lungimiranti, non può che rassegnarsi e trovare l’accordo sull’unico uomo in grado di garantirgli ancora un anno di legislatura.

È stato un gioco di sopravvivenza. È stato un gioco di chi la sparava più grossa, un continuo proporre nomi totalmente casuali e senza nessuna chance di essere eletti. Si è giocato a fare i kingmaker, a tacciare l’altro di immobilismo e di continui “no”. Ma in tutto ciò non si è pensato a trovare un nome nuovo per la presidenza della Repubblica.

Un sistema di bilanciamento dei poteri

Sicuramente i padri costituenti non potevano prevedere una situazione così drammatica e instabile quando hanno pensato all’iter per l’elezione del presidente della Repubblica. Il procedimento di elezione è volutamente così lungo e difficile proprio per garantire che il candidato eletto sia appoggiato dalla maggioranza più ampia possibile.

Quando ciò venne deciso, nelle menti del legislatore aleggiava ancora il fantasma del ventennio fascista e si volle fare in modo che in futuro non sarebbe mai più accaduto qualcosa di simile. Perciò si optò per una repubblica parlamentare, dove il potere esecutivo è nelle mani del governo, il quale per operare ha bisogno della fiducia parlamentare, mentre al vertice una figura di rappresentanza e di contro bilanciamento al potere del parlamento e del governo. È un sistema che funziona, che garantisce la corretta rappresentanza di tutte le forze politiche e, soprattutto, che pone al vertice una figura super partes.

Difficilmente una repubblica presidenziale risolverebbe i problemi del sistema politico italiano, nel quale attualmente il popolo elegge il parlamento che, di conseguenza, dà la fiducia al governo.

La situazione dei partiti

Secondo molti osservatori politici è arrivato il momento di interrogarci davvero sullo stato di salute della Politica italiana. Specialmente quando i leader, che dovrebbero essere i primi a fare ammenda e a scusarsi col presidente uscente, invece si dicono da soli quanto sono stati bravi. Nel 2013 l’allora segretario del Pd Bersani si dimise dopo la rielezione di Napolitano, oggi invece i segretari dei partiti fanno la corsa davanti alle telecamere per intestarsi la vittoria.

In questa fase i partiti paiono spaccati all’interno e sono tenuti insieme da leadership deboli e con scarsa credibilità. Una volta la politica era dei partiti, i quali facevano da “scuola” a chi voleva scendere in campo politico.

Oggi i partiti sono solamente l'incarnazione del loro leader.

Il M5S, il partito più votato nel 2018, nel corso di questa legislatura ha perso circa 100 parlamentari, i quali hanno cambiato gruppo. Questo è un fenomeno che non è da poco conto. Fa capire quanto il partito stesso sia debole e frammentato. Il Pd, un partito che secondo i sondaggi ha ancora il 20%, soffre di una crisi di identità ormai decennale. La Lega, in preda alle ambizioni del suo leader, ha perso 20 punti percentuali nel giro di due anni ed è stata superata da un partito che nel 2018 aveva ottenuto il 4%, Fratelli d'Italia.

Il governo è sorretto da questi tre partiti in perenne disaccordo e tenuto insieme da uno degli ultimi leader italiani riconosciuti sul piano internazionale, Mario Draghi.

Sicuramente l’elezione di Mattarella ha garantito un altro anno a questo governo, ma non senza contraccolpi. La maggioranza è più debole di quanto già non la fosse e nei prossimi mesi i partiti inizieranno a fare campagna e a darsi battaglia per accaparrare consensi, mettendo da parte l’azione di governo. Arriverà un punto in cui Draghi verrà completamente ignorato? Ai posteri l’ardua sentenza.

Insomma, la rielezione di Sergio Mattarella, salutata positivamente dalla maggioranza dei partiti e anche dalla gran parte dei cittadini, oltre a essere forse l'unica soluzione possibile in questa fase, rappresenta comunque il sintomo che la politica italiana non riesce a guardare avanti.