"Pratica il gioco più spettacolare del mondo e non ha ancora capito che un gol evitato vale quanto un gol segnato", oppure "tatticamente non cresceranno mai". La volubile stampa italiana bollava in tal modo il Brasile di Telé Santana all'indomani del 5 luglio 1982, dopo averlo decantato per settimane. L'Italia di Enzo Bearzot che, con la storica tripletta di Rossi [VIDEO], lo aveva mandato a casa in maniera assolutamente inattesa, ora raccoglieva iperbole di ogni tipo dalle stesse testate giornalistiche che prima avevano predisposto il 'coccodrillo' per la dipartita imminente e dopo facevano a gomitate per saltare sul carro del trionfo.

Sono trascorsi 40 anni e parecchi appassionati di calcio italiani, fan di quel Brasile assolutamente splendido, cercano ancora una spiegazione dinanzi a ciò che fu ovvio in quel caldo giorno di luglio al Sarrià: l'Italia vinse perché giocò una gara perfetta, perché seppe sfruttare le 'falle' di quella squadra, perché fu più furba e anche più forte. L'Italia vinse perché il 5 luglio del 1982 fu superiore a un grandissimo Brasile. Curioso che si cerchino i 'perché' di una circostanza (l'unica in assoluto nel dopoguerra) in cui la nazionale azzurra vinse un titolo dimostrandosi superiore a tutte le avversarie più quotate e, al contrario, vengano glorificate prestazioni vincenti di epoche successive (anche molto recenti) ben più risicate e frutto del caso.

Ma questi sono gli italiani e questa è anche un'altra storia.

L'unico vero difetto del Brasile 1982

Tornando al Brasile 'tatticamente immaturo', in realtà rivedendo le partite della prima gestione Santana (1980-1982) possiamo piacevolmente scoprire come quel gioco in cui la differenza la facevano ovviamente le doti tecniche dei tanti fuoriclasse, fosse assolutamente moderno per quell'epoca e, oggi, adottato dalla maggior parte degli allenatori anche senza il talento 'divino' dei vari Zico, Socrates, Falcao e Junior.

Fin dalla sua prima apparizione sulla panchina della selecao, il nuovo ct decise di tagliare i ponti con la strada intrapresa dal suo predecessore Claudio Coutinho che aveva come modello l'Olanda degli anni '70. Santana, partendo dal presupposto che nessuna nazionale aveva vinto più titoli mondiali del Brasile e che, pertanto, c'era poco o nulla da imparare dagli europei, si ispirava soprattutto al Brasile del 1970, a quella nazionale di artisti che schierava contemporaneamente quattro giocatori che, nelle loro squadre di club, indossavano la casacca numero 10.

Negli anni '80 questa disposizione veniva considerata un 'orrore tattico' e, in effetti, nell'idea perfetta di Santana c'era una falla che sarebbe venuta fuori nel confronto contro l'Italia: la mancanza di un vero mediano o di qualcuno che sapesse adeguatamente farne le veci. Nell'idea del tecnico questo giocatore doveva essere Toninho Cerezo, giocatore assolutamente straordinario, ma meno versatile di quanto lo fu il giovane Clodoaldo nel 1970. Cerezo e Falcao non dovevano giocare insieme, il romanista era considerato riserva del primo, ma fu titolare contro l'Urss perché Cerezo era squalificato. Dal secondo match contro la Scozia, vista la prova opaca di Dirceu contro i sovietici e l'alternativa Paulo Isidoro che rimarrà sempre un'alternativa in tutte le gare (il dodicesimo di Santana), il ct provò questa talentuosa coppia ispirandosi certamente al duo 'Clodoaldo-Gerson' del 1970.

Contro una squadra tatticamente accorta come l'Italia i nodi sarebbero venuti al pettine [VIDEO], tant'è che nel corso del match Santana avrebbe pensato a una maggiore copertura dopo aver ottenuto il gol del 2-2 e il prescelto sarebbe stato Batista che non aveva la classe di Falcao o Cerezo, ma era un mediano autentico. Ovviamente il terzo gol di Rossi cambiò i piani del tecnico anche se lo stesso Batista in alcune interviste successive incolperà sempre Santana per il mancato utilizzo. Questo, se vogliamo proprio trovarlo, era forse l'unico vero difetto di quel Brasile, ma del resto Santana nella sua seconda gestione avrebbe fatto ammenda in tal senso proponendo ai Mondiali messicani del 1986 un Brasile irrobustito a centrocampo dalla contemporanea presenza di Elzo e Alemao.

Non lo avrebbe fatto, come leggenda vuole, perché memore della lezione italiana del Sarrià, ma semplicemente perché era consapevole di non poter riproporre lo stesso Brasile alla luce dell'età non più verdissima di alcuni dei suoi fedelissimi e aveva necessità di maggiore copertura per rimediare a un dinamismo che era venuto meno. Anche questa, però, è un'altra storia.

Impostazione dal basso

Come giocava il Brasile ai Mondiali di Spagna? Intanto c'è da dire che il classico sistema brasiliano 4-2-2-2 non rispecchiava esattamente lo schema di quella squadra, schierata più che altro con un 4-2-3-1 ma con un trequartista in grado di arretrare in fase di non possesso e dunque, portando il disegno sul campo al 4-3-2-1.

Ma, come vedremo, questa non era l'unica variante tattica. In porta c'era Waldir Peres, anche lui molto maltrattato dalle leggende metropolitane italiche: non era un fenomeno, ma era un buon portiere e le sue 'papere' che lo hanno ingiustamente reso celebre in realtà sono contate sulle dita di una mano. A memoria ci ricordiamo di un'uscita a vuoto contro la Bolivia durante le qualificazioni ai Mondiali e della mancata trattenuta sul tiro di Bal che costò il gol nel primo match della fase a gironi in Spagna contro l'Urss. Davanti al bistrattato Peres la coppia di centrali era composta da Oscar e Luzinho il cui compito era quello di avviare la fase di possesso dalle linee difensive. Oggi viene definita 'impostazione dal basso', uno dei neologismi più falsi della storia recente del calcio perché per l'appunto non è affatto un nuovo modo di giocare in difesa.

Ad ogni modo i due centrali brasiliani, entrambi dai 'piedi buoni', favorivano in maniera celere linee di passaggio verso la mediana dove gli interni erano Falcao e Cerezo mentre il trio sulla trequarti era composto da Zico, Socrates ed Eder. Il Galinho partiva da destra e si accentrava fungendo spesso da rifinitore per il centravanti, mentre Socrates in fase di non possesso arretrava accanto a Falcao e Cerezo. Eder agiva sulla corsia mancina sfruttando le incredibili doti del suo sinistro, giocatore assolutamente geniale ed è un vero peccato che la sregolatezza abbia prevalso sul genio frenando quella che sarebbe stata una grandissima carriera. Anche lui si accentrava e spaziava per il campo così come Zico e Socrates, la selecao di Santana non aveva vere ali ma il supporto sulle corsie esterne arrivava soprattutto da Leandro e Junior, autentici e modernissimi terzini a tutta fascia.

Entrambi potevano scambiarsi di posizione con i centrocampisti più esterni e questo sistema faceva venir meno agli avversari l'avvistamento di punti di riferimento.

La scelta di Serginho

Un capitolo a parte lo merita Serginho Chulapa, il centravanti da molti considerato un 'anello debole'. La scelta della prima punta fu in effetti un cruccio per Santana che, nel corso della sua prima gestione, provò un discreto numero di attaccanti e finì per promuovere il giovane talento Careca che si infortunò poco dopo la partenza per la Spagna. Il tecnico mineiro stimava poco Roberto Dinamite, aggregato alla selecaco dopo l'infortunio del futuro centravanti del Napoli e mai utilizzato e aveva escluso a priori anche Reinaldo.

Si dice che dietro quest'ultima decisione ci siano state 'pressioni politiche' ma sembra un controsenso visto che avrebbe affidato i gradi di capitano al 'rivoluzionario' Socrates. In realtà la scelta di Serginho non è affatto casuale perché le sue doti fisiche gli consentivano di fare a 'sportellate' con le difese più dotate dal punto di vista fisico e, inoltre, con il suo movimento lungo era in grado di aprire spazi per gli inserimenti da dietro dei centrocampisti, vera arma micidiale del Brasile che in fase offensiva era assolutamente imprevedibile e destabilizzava non poco le retroguardie avversarie in un'epoca di marcature a uomo. Certo Santana non aveva tenuto in conto, perché non poteva farlo, dei goffi errori sotto porta del suo centravanti.

Serginho incappò in un momento assolutamente nebuloso della sua carriera per quanto riguarda la prolificità offensiva, anche perché negli anni che precedettero la kermesse iridata in terra iberica le sue medie realizzative erano davvero notevoli nelle file del San Paulo e lo sarebbero state anche immediatamente dopo nella sua stagione al Santos. C'è da dire che il momento 'no' dell'attaccante paulista non impediva alla selecao di andare in gol con frequenza, è un dato di fatto (15 gol in 5 gare). Ma è un fatto altrettanto incontestabile che i suoi innumerevoli errori di mira contro l'Urss potevano costare cari al Brasile così come costò carissima quella palla-gol divorata davanti a Zoff nel match perso contro l'Italia.

Una squadra versatile

In 'soldoni', il Brasile del 1982 aveva una fase di possesso indirizzata a garantire appoggi al portatore di palla e favorire sovrapposizioni, rapidi scambi, ricerca del compagno smarcato, operazioni facilitate dall'abilità tecnica dei giocatori verdeoro. In fase di non possesso tutti i giocatori cercavano di rientrare dietro la linea della palla e lo schema poteva trasformarsi in un 4-4-2 o un 4-5-1 in cui l'ago della bilancia era Zico. Come sistema difensivo l'idea era quella di coprire gli spazi più che riconquistare immediatamente il pallone. Sono sistemi di gioco che, a quarant'anni di distanza, vengono adottati dalla maggior parte delle squadre dei nostri tempi anche nella Serie A italiana, con ovviamente le differenze del caso perché nessuna squadra oggi dispone di una simile generazione di calciatori.

Niente male per una nazionale che, secondo le 'sentenze' della stampa italiana, non sarebbe mai cresciuta tatticamente. Squadra 'immortale' perché sempre ricordata nonostante la sconfitta, squadra a cui va resa giustizia anche sotto altri aspetti perché, senza saperlo, era avanti di diversi decenni. Squadra indimenticata e indimenticabile perché bellissima, esempio di arte, genio, estro e sfrontatezza: senza queste qualità, il calcio non sarebbe il gioco più bello del mondo e senza i brasiliani il calcio non sarebbe stato lo stesso. Nazionale che dopo il 1982, indipendentemente dai vari ct, ha spesso soffocato la sua naturale vocazione nel nome di un equilibrio tattico 'a tutti i costi' che ha finito per europeizzarne le caratteristiche, anche se poi la differenza l'hanno fatta i fuoriclasse come Romario, Ronaldo, Ronaldinho o Neymar. Però ci manca il 'jogo bonito' del Brasile di Santana, ancor più se oggi vediamo giocare tante squadre con i medesimi principi tattici. Qui purtroppo la differenza la fanno gli interpreti: quelli attuali hanno i piedi molto meno educati e, sinceramente, sono anche molto più tristi.