Si chiude ufficialmente il regno di Giorgio Napolitano. Con una punta di rammarico. Con molta stanchezza. Con estrema liberazione. Un regno lungo ed estenuante. Un regno necessario per tenere per ben due volte in piedi la coesione nazionale. Un regno dorato, in una prigione dorata.
"Qui si sta bene, è tutto molto bello - ha confessato il Capo dello Stato a una bambina in piazza del Quirinale - ma è un po' una prigione. A casa starò bene e passeggerò". Un prigione dorata quella in cui ha vissuto Napolitano per nove anni. Ma pur sempre una prigione.
Nove anni in cui ha guidato il Paese dall'alto della sua autorità. Un'autorità che ha fatto quasi dimenticare il suo passato, un'autorità e un'autorevolezza che hanno fatto quasi dimenticare (ai più) perché Giorgio Napolitano è stato il nostro Capo dello Stato. Napolitano è stato il Capo dello Stato punto e basta per la maggior parte degli italiani. Sembra quasi paradossale nella sua naturalezza.
Non solo, però, una figura autorevole quella di Napolitano, ma anche una figura controversa e contestata. Proprio come tutte le figure forti. Un figura che, piaccia o no, ha salvato per ben due volte l'unità del Paese. Permettendo che il processo di riforme e l'Italia stessa continuassero ad andare avanti.
"L'augurio al Paese è che sia unito e sereno. Anche perché viviamo in un mondo molto difficile. Abbiamo visto nei giorni scorsi cosa è successo in un Paese vicino e amico come la Francia". E proprio l'unità del Paese si giocherà in questi giorni. Sia sul fronte delle riforme, che sul fronte della nomina del successore di Giorgio Napolitano.
Si parla di Mario Draghi, si parla di Veltroni, si parla di Prodi. Si parla di riforme, di legge elettorale e di giochi di potere. Renzi ha rassicurato il presidente uscente "Sono convinto che riusciremo a farcela prima di eleggere il suo successore" ha detto il premier a Napolitano. Una situazione delicata e pericolosa quella a cui sta andando incontro l'Italia.
Si gioca la rielezione del presidente, la legge elettorale e la riforma costituzionale. Riforme ancora aperte rispettivamente in Senato e alla Camera. Napolitano, però, non ha voluto prolungare ulteriormente la sua prigionia e ha chiesto espressamente a Renzi che la rielezione del presidente della Repubblica non blocchi né rallenti il processo di riforme.
Il quadro è, inoltre, complicato da dissidenti del PD e di Forza Italia che hanno annunciato battaglia per le riforme. La maggioranza è, però, convinta che ormai la strada per le riforme sia in discesa. Per il 22-23 gennaio l'Italicum dovrebbe, infatti, passare. Poi tutta l'attenzione (e la voglia di polemizzare) sarebbe totalmente dedicata alla rielezione del presidente della Repubblica.
Al di là dei ragionamenti politici, insomma, Giorgio Napolitano lascerà un buco difficile da coprire all'interno del quadro politico nazionale. Ma anche una grande opportunità di rinnovamento. La partita si gioca tutta qui. Ripartire o impaludarsi nei soliti, vecchi, italiani giochi di potere e ideologie. L'Italia ce la farà, o inizierà, semplicemente, una guerra dei nomi fine a se stessa?