Il risultato del secondo turno delle elezioni presidenziali in Argentina è chiaro: il Paese decide per il cambiamento, svolta a destra, e - come avevano anticipato i sondaggi della vigilia - si affida al 56enne Mauricio Macri, l'attuale sindaco di Buenos Aires. L'ex presidente della squadra del Boca Juniors s'insedierà alla Casa Rosada il prossimo 10 dicembre, quando succederà a Cristina Fernández de Kirchner.

Il nuovo leader - che molti definiscono un neoliberale duro e puro - ha ottenuto il 51,4 per cento dei voti validi, superando il peronista (di origine molisana) Daniel Scioli, che rappresentava - pur con molti distinguo - la continuità con l'epoca kirchnerista.

Il candidato sconfitto, fermo al 48,6 per cento dei consensi, ha immediatamente riconosciuto la vittoria dell'avversario: un segnale che la democrazia - nel Paese dei desaparecidos - a trentadue anni dalla fine della dittatura militare, si è ulteriormente consolidata.

La fine del ciclo progressista

L'esito del voto di ieri - favorito dalla grande stampa nazionale, e dal potere giudiziario, dicono i maligni - rappresenta un punto di svolta nella politica dell'Argentina. Innanzitutto, la sconfitta del peronismo è frutto dell'unico ballottaggio celebratosi nella storia costituzionale della Nazione: nel 2003, Carlos Menem rinunciò al secondo turno contro Néstor Kirchner.

Con le elezioni di domenica, inoltre, è la prima volta che formazioni politiche dichiaratamente di destra - a livello statutario - ottengono il potere in modo legale e democratico, attraverso le urne; infatti, Menem, pur regista di politiche neoliberali, non smise la maglia del peronismo e del Partito Giustizialista.

Le conseguenze del voto

Nelle ore in cui scriviamo, i settori conservatori del Paese vivono una sorta di euforia e c'è chi ha chiesto la fine dei processi per violazione dei diritti umani, con tanto di scarcerazione dei torturatori condannati. Se però tutto ciò fa parte del bailamme politico - inevitabile dopo la fine di dodici anni di governi Kirchner - resta da chiedersi quali saranno i risultati concreti di questa svolta.

Che a detta di molti osservatori non solo rappresenta una restaurazione neoliberale, ma avrà pesanti conseguenze nell'intero Latino America, segnandovi la fine del decennale ciclo progressista. Così in Brasile, il governo progressista di Dilma Rousseff - peraltro in affanno su ogni fronte - potrebbe cominciare a sentirsi accerchiato.

Secondo Eduardo Berezán - noto giornalista argentino, esperto di politica internazionale - la vittoria di Macri (classe 1959, lontane origini calabresi) avrà come prima conseguenza la riorganizzazione della politica estera, la quale sarà dunque in futuro caratterizzata dal riavvicinamento agli Stati uniti. Beninteso, spiega l'esperto al portale russo "Rt", «la società argentina non vuole tornare indietro», infatti «molte riforme portate avanti dai Governi Kirchner negli ultimi dodici anni, sono state ben accettate»; è il caso delle politiche sui diritti umani e più in generale dell'ampliamento dei diritti civili.

Come cambierà la politica estera

Insomma, le novità riguarderanno da un lato l'economia, ma soprattutto l'ambito delle relazioni internazionali.

Se comunque Berezán non crede che Macri possa abbandonare il processo d'integrazione latinoamericana, per la giornalista Telma Luzzani, il cambio della guardia significherà un appiattimento su Stati uniti ed Europa, e la presa di distanza dai governi di Cina, Russia e soprattutto Venezuela.