Come se non bastasse lo scandalo 'emailgate' che gli si sta ritorcendo contro, perché sta facendo emergere'simpatie pericolose' di Donald Trump nei confronti del presidente russo, Vladimir Putin, adesso arriva lo 'strappo' con i vertici del Partito Repubblicano. In realtà si tratta di una lacerazione laddove era stata posta una frettolosa cucitura: non è mai stato amore fra l'imprenditore newyorkese ed i 'big' del Grand Old Party che durante le Primarie hanno cercato in tutti i modi di frenare la sua inarrestabile ascesa. Ma oggi quella di Trump dà tutta l'impressione di una nave che inizia ad imbarcare acqua.
L'ultima e non unica falla è la presa di posizione di Mike Pence, l'uomo presentato da Trump come suo vice qualora dovesse diventare presidente degli Stati Uniti.
Il distacco del vice presidente
La questione è puramente politica e ruota attorno a Paul Ryan, speaker della Camera degli Stati Uniti e candidato per la rielezione al Congresso. Nel corso di un comizio in Virginia, Trump ha pubblicamente dichiarato che non lo sosterrà così come non appoggerà la candidatura al Senato di John McCain. Immediata la reazione di Mike Pence, il vice presidente designato dallo stesso candidato repubblicano alla presidenza, che si è schierato dalla parte di Ryan. Quella di Trump è una mossa azzardata e, sinceramente, molto discutibile dal punto di vista politico.
Dalle parole del magnate traspare anzi un certo astio, nonostante Paul Ryan gli abbia apertamente concesso il sostegno durante la convention di Cleveland. In Virginia invece Trump ha detto a chiare lettere di "non sentirsi pronto a sostenere Ryan per la rielezione al Congresso" e somiglia tanto alla dichiarazione di Ryan pronunciata lo scorso maggio, quando aveva reso noto di non essere ancora pronto a sostenere la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti di "The Donald".
Trump perde sostenitori
Se la nave imbarca acqua, ci sono sempre coloro i quali pensano a mettersi in salvo. Alcuni dei finanziatori e sostenitori che si erano schierati dalla parte di Trump all'inizio della sua movimentata campagna elettorale oggi hanno cambiato vessillo. Maria Comelia, ex portavoce del governatore repubblicano del New Jersey, Chris Christie, ha annunciato il suo sostegno ad Hillary Clinton.
Lo stesso ha fatto Meg Whitman: l'amministratrice delegata di Hewlett Packard, repubblicana di vecchia data, che ha reso nota la sua decisione di votare la Clinton. "Con la sua demagogia - ha detto la Whitman, riferita a Trump - sta minando il tessuto stesso della nostra nazione". Un'altra defezione di un certo peso è quella di Richard Hanna, storico deputato repubblicano eletto nello Stato di New York. Questi dinieghi vanno ad aggiungersi a quelli della prima ora, di Jeb Bush e Mitt Romney e dei rispettivi entourage.
Voci clamorose di una sostituzione
Le ultime indiscrezioni hanno del clamoroso perché, alla luce di un vero e proprio caos che giova certamente alla candidata democratica Hillary Clinton, i vertici del GOP starebbero pensando alla sostituzione del candidato presidente.
Sarebbe a tutti gli effetti un "golpe", visto che la nomination di Trump è stata resa ufficiale dalla convention del partito ma sarebbe nel contempo una soluzione motivata da quella che, a tutti gli effetti, sembra la cronaca di una sconfitta annunciata. Trump non è assolutamente in grado di riunire un partito attualmente spaccato e, inoltre, le illazioni di una possibile "intesa", anche se non apertamente dichiarata, con la Russia di Putin sono motivo di perplessità da parte dei nazionalisti ai quali piaceva tanto lo slogan "Make America Great Again" che ora sembra soltanto fine a sé stesso. Lo zoccolo duro di Trump alla fine resta quella parte della popolazione "scontenta", intollerante, estremista. Coloro che lo hanno sempre sostenuto fin dai primi comizi il cui voto da solo, però, non è certo sufficiente per entrare alla Casa Bianca.