In queste ore il Presidente incaricato del governo spagnolo, Mariano Rajoy è davanti al Congresso dei deputati per chiedere di accordargli la fiducia, con voto fissato per il 31 agosto. Al suo esecutivo di minoranza serviranno i voti della maggioranza assoluta dei componenti dell’aula, cioè 176 deputati su 350.

Poiché il suo Partito Popolare ne ha solo 137, a cui si sommano 32 di Ciudadanos e dei liberali Albert Rivera, oltre ad uno del rappresentante del Partito delle Canarie, a Rajoy – sulla carta - mancano 6 voti per ottenere la fiducia. Se ci riuscirà o no dipende da ciò che deciderà il segretario generale del partito socialista, Pedro Sanchez ed i suoi 85 deputati.

La posizione dei socialisti

Se non otterrà la fiducia al primo tentativo, le speranze di Rajoy saranno rivolte alla seconda votazione, prevista per il 2 settembre, quando basterà la maggioranza della metà dei votanti (e non degli aventi diritto) più uno. Cioè, almeno undici parlamentari socialisti dovranno accettare di astenersi dal voto, consentendo al nuovo governo di entrare pienamente nelle sue funzioni. Ma la posizione di Pedro Sanchez sembra irremovibilmente contraria.

Il leader del Partito Socialista (PSOE), infatti, ritiene che la sorprendente tenuta economica del paese possa consentirgli di prolungare il suo braccio di ferro con l’avversario del PP, sino a data tuttora indefinita. In effetti, il mercato del lavoro spagnolo è diventato più flessibile, il settore finanziario è più solido di tre anni fa e la bilancia dei pagamenti ha cominciato a migliorare, dopo la crisi del 2009, durante la quale la Spagna fu definita«il paese più a rischio d’Europa».

Anche il PIL spagnolo è tornato a crescere, negli ultimi due anni: nel 2015 ha toccato il + 3,2%, quando, in Italia, è stato registrato un misero +0,7%.

Disoccupazione sempre alta, soprattutto quella giovanile

Alcuni dati statistici, tuttavia, desterebbero preoccupazione a qualsiasi leader socialista. Nonostante il recupero di quasi 900.000 posti di lavoro, infatti, la disoccupazione in Spagna non è scesa al di sotto del 20%, quasi il doppio dell’Italia; quella giovanile, soprattutto, rimane a livelli preoccupanti (35%) ed i salari sono rimasti decisamente bassi.

Inoltre, se si giungerà a nuove elezioni, a pagare il prezzo più alto potrebbe essere proprio il partito socialista, visto che già prima delle votazioni dello scorso 26 giugno, i Sondaggi politici ne avevano preannunciato il possibile sorpasso da parte dei populisti di Podemos, anche se, alla fine, il risultato ottenuto fu del 22%, contro il 21% del partito di Pablo Iglesias.

Nel probabile caso che dal doppio voto non venisse accordata la fiducia al nuovo esecutivo Rajoy, quindi, gli spagnoli, intorno a Natale, torneranno a votare per la terza volta in un anno e, nuovamente, senza un governo nella pienezza dei poteri. Le nuove elezioni politiche, probabilmente, vedranno il partito di maggioranza relativa, il PP, privo della premiership di Mariano Rajoy che, quasi sicuramente, deciderà di passare la mano.

Un quadro economico-politico poco invidiabile

A rendere ancor più fosco il futuro si aggiungono le istanze separatiste delle regioni della Spagna economicamente più solide, come la Catalogna (che ha richiesto ufficialmente l’avvio dell’iter per la secessione, peraltro respinto dalla Corte costituzionale) e le Province Basche. Un quadro economico-politico decisamente poco invidiabile per qualsiasi altro paese d’Europa, Grecia esclusa.