Finalmente, il silenzio. Alla fine di queste ultime Presidenziali Americane ad essere sfiniti non sono solo i candidati, a prescindere da presunte malattie, o i giornalisti, ma soprattutto gli elettori. Mai come prima una campagna elettorale è stata scandita, da una parte e dall'altra, da accuse infamanti, da comportamenti eccessivi, e addirittura da intromissioni, giustificate o meno, della polizia federale. Vere o false che siano, le reciproche accuse di illegalità, amoralità e di veri e propri reati commessi dai due candidati hanno monopolizzato il dibattito mondiale.

Anche se non vivevano esattamente nel regno delle fiabe, personaggi come Teodoro e Franklin Roosevelt, Truman o Eisenhower stenterebbero a credere che non si stia parlando di un film, invece che della realtà.

Gli elettori Americani e gli anni '60, speranze e timori per Trump e la Clinton

Storicamente le percentuali di voto nelle elezioni Presidenziali Americane sono molto basse. Prendendo in considerazione quelle "moderne", dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, la media è del 55,4%. Durante gli anni '50 e '60, però, la media è sensibilmente aumentata in coincidenza dell'esplosione della Guerra Fredda e delle mutazioni sociali che accaddero verso la fine di quel ventennio, arrivando al 61,16%.

Nel 1968, anno simbolo della rivoluzione sociale, vinse il Repubblicano Nixon contro il Democratico Humphrey perché andò a votare la maggioranza silenziosa. Anche oggi viviamo un periodo di sconvolgimenti sociali: la lunga crisi economica che è iniziata alla fine del secondo mandato della Presidenza Bush figlio, e le fortissime tensioni razziali che hanno caratterizzato il secondo mandato di Obama, hanno creato una situazione di instabilità sociale che non si vedeva da quarant'anni.

Se si dovesse ripetere un incremento della percentuale dei votanti simile a quegli anni, il risultato del voto potrebbe uscirne sconvolto.

2016: Clinton e Trump, due candidati quasi paradossali

Negli anni abbiamo assistito a scontri tra Democratici che incarnano i valori più "liberal" della scena politica, e Repubblicani che ne incarnano i valori più conservatori.

Nell'elezione del 2016, invece, esiste un elemento di paradossalità. La Signora Clinton, candidato democratico, in campagna elettorale ha abbracciato le posizione del Progressista Sanders e del Presidente Obama più per necessità che per convinzione, perché deve attrarre la parte più a sinistra del partito, le minoranze etniche e quelle di genere. In realtà, Hillary Clinton è l'espressione più clamorosa dell'Establishment Americano, quello che noi in Italia chiamiamo i "poteri forti". Ed è inusuale che sia un candidato Democratico a rappresentarli e ad avere allo stesso tempo il supporto della sinistra Americana. Donald Trump è un imprenditore di successo, una persona senza esperienza politica ma con grande esperienza di finanza.

In teoria, un buon candidato Repubblicano. Invece, l'Establishment lo combatte ferocemente, e il partito Repubblicano non è unanime nel supportare il candidato uscito vincente dalle primarie. Una situazione, appunto, paradossale.

I due candidati si sono sfidati con una forte aggressività verbale. Le due compagini sono ben delineate, ma, forse, c'è uno spazio per Trump se la percentuale di voto sarà superiore alla media. La Clinton avrà i voti della maggioranza delle donne, delle varie minoranze, probabilmente del mondo finanziario e dei Democratici schierati. Trump avrà i voti della maggioranza dei Repubblicani schierati, della maggioranza degli Americani che sono stufi dell'Establishment politico-finanziario di Washington, e degli elettori che non hanno gradito la debolezza dell'ultima parte della Presidenza Obama.

In poche parole, Trump potrebbe essere il voto di protesta del ceto medio Americano che finora è stato un gigante silenzioso. E che se andasse a votare in numero superiore al suo scarso solito, potrebbe creare una grande sorpresa alla grande favorita Hillary Clinton.