Due esplosioni hanno squarciato il cielo di Istanbul lo scorso sabato notte. Quarantaquattro le vittime, almeno centocinquanta i feriti. Ancora scosso dal duplice attentato suicida, il Paese ha vissuto un giorno di lutto nazionale. Un’occasione per il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan per indirizzare alla società civile, al mondo politico e alla comunità internazionale un messaggio fin troppo chiaro: il governo combatterà il terrorismo fino alla fine. Quella che sembra essere un impegno e una promessa politica suona piuttosto come una campagna di vendetta.

A rivendicare l’attentato è il Gruppo Falchi per la Libertà del Kurdistan (Tak), una costola dissidente del Pkk. Ciononostante, nel mirino del Presidente finiscono ancora una volta i leader parlamentari del partito filo curdo Hdp.

Due giorni dopo il duplice attentato a Istanbul, la polizia turca ha arrestato 235 persone, tutti membri del Partito democratico dei Popoli (Hdp). L’accusa di presunti legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e di “propaganda terroristica” è la risposta, prevedibile, del governo turco.

La divisione antiterrorismo turca ha effettuato cinque blitz simultanei presso le sedi del partito a Istanbul, Ankara, Manisa e Mersin. Una dura battaglia repressiva quella che Ankara sta conducendo contro il Pkk nell’est del Paese e a nord dell’Iraq; una guerra sanguinosa che segue gli istinti di un Presidente che, accecato dal desiderio di reprimere militarmente i separatisti curdi, attenta egli stesso ai principi dello Stato di diritto.

Intanto, mentre la comunità internazionale si mostra solidale con la Turchia, non manca chi approfitta della situazione per ribadire la propria posizione riguardo la lotta globale al terrorismo. E' quello che hanno fatto domenica i membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU invitando tutti gli Stati, conformemente ai loro obblighi internazionali, a cooperare attivamente con il governo turco a questo proposito; o anche il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu che chiede alla Turchia di denunciare ogni atto terroristico nei confronti dello stato ebraico.

Una lotta reciproca al nemico comune, anche se soltanto presunto.

In questo clima di tensioni, dal suo palazzo presidenziale ad Ankara, Erdogan prosegue la sua guerra antiterrorista e repressiva parallelamente a quella politicamente feroce per consolidare il controllo del Paese.