Che tra Putin e Trump ci fosse intesa e pacifici obiettivi comuni era ben noto sin dall’inizio della contrastante campagna elettorale per le presidenziali USA, ma quel che sembrava solo un ghigno finanziario dietro a importanti relazioni economiche e un braccio proteso verso gli standard presidenziali del Cremlino sta diventando qualcosa di nettamente più conforme ai timori di molti e alle certezze in qualche modo già messe sul piatto della bilancia da quando Hillary Clinton aveva deciso di controbattere alle extemporanee sparate imperialiste del Tycoon.

Dopo il via libera ad un’importante inchiesta sul ruolo delle iniziative di hacker russi durante la campagna elettorale.

E i dubbi iniziano ad attanagliare anche dieci membri del Collegio elettorale che il 19 Dicembre dovrebbe designare ufficialmente il magnate texano, puntando con poca eleganza e molta praticità a screditare moralmente e legalmente il prossimo inquilino della Casa Bianca. I repubblicani del Congresso hanno infatti approvato la richiesta di indagini sui favori informatici russi a Trump e il Collegio elettorale si è aggregato, con tanto di domande in allegato.

Già, perché il punto è proprio questo: Trump è stato eletto e a meno di non dare agli Stati Uniti un precedente pericoloso non è proprio possibile fare nulla.

L’annuncio dell’indagine è stato fatto dal leader repubblicano in Senato, Mitch McConnell, che dopo il torpore della campagna elettorale durante cui non ha voluto commentare in alcun modo quanto avveniva nel Paese e nel suo partito, ha smesso di mordersi la lingua e ha confermato che una qualunque violazione informatica straniera è un affronto e un fatto molto inquietante.

Citazione d’eccellenza quella dei dieci membri del Collegio che nella lettera inviata al direttore della National Intelligence James Clapper citano i Federalist Papers del 1787 e sottolineano come il loro ruolo implichi la prevenzione di atti di intromissione straniera sulla politica interna degli USA.

La mossa dei cosiddetti dieci Hamilton electors non arriva comunque inaspettata, ma è soltanto l’ultima iniziativa del Collegio elettorale per non deliberare a favore di Trump in un loro ideale di vegliare sulla giustizia della nazione e fermare l’azione di un demagogo o di un candidato eticamente e diplomaticamente inadatto alla presidenza, sentimento che non conosce bandiera e sta riunendo figure politiche importanti in entrambi i due schieramenti americani.

McConnel ha infatti accolto la richiesta di un gruppo misto di senatori democratici e repubblicani, tra cui figurano nomi celebri come John McCain e Lindsay Graham, affidando alle commissioni Intelligence e alle Forze Armate del Senato l’incarico di portare avanti l’indagine.

Importante intervento del repubblicano Paul Ryan che alla Camera si dice disgustato dalla possibile intromissione russa con le dinamiche politiche americane, ricordando quanto Putin si sia sempre dimostrato un aggressore più che un leader democratico e diplomatico.

In tutta risposta Trump sceglie il Segretario di Stato in una nomina quanto mai inappropriata come quella di Rex Tillerson, amministratore delegato di ExxonMobil celebre per la sua presenza nella dacia di Putin a seguito della firma di un contratto che consentirebbe alla Exxon di accedere a interessanti riserve di petrolio nell’Artico russo in cambio della possibilità per la compagnia di stato russa Rosneft è di comprare partecipazioni nei progetti in terra americana di Exxon.

Dulcis in fundo Tillerson ha anche ricevuto un’alta onoreficenza dallo stesso Putin. L’entourage di Trump non tarda a rispondere e inizia subito con il mettere in discussione il rapporto della CIA: “Sono gli stessi che dicevano che Saddam aveva armi di distruzione di massa, non sono affidabili”. Lo stesso Donald ha definito ridicole queste congetture in un’intervista a Fox News e la sua storica advisor Kellyanne Conway dichiara che è solo un capro espiatorio per giustificare l’amara sconfitta di Hillary Clinton.