L’attentato di Capodanno alla discoteca Reina di Istanbul, che ha provocato – sinora – 39 morti e oltre sessanta feriti è stato rivendicato dall’ISIS. Non è la prima volta, negli ultimi mesi, che la Turchia di Erdogan subisce attentati islamici di matrice fondamentalista. Ricordiamo, infatti, l’attacco all’aeroporto Ataturk della stessa Istanbul, nel giugno scorso, che ha provocato 42 morti; l’attentato, ad agosto, di un kamikaze minorenne nel corso di un matrimonio a Gaziantep (51 morti) e l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov, il 19 dicembre scorso.

Nessuno di questi attentati è stato attribuito al PKK, il partito estremista curdo, tradizionale nemico giurato del regime di Erdogan, ma ai fondamentalisti dell’ ISIS ed affiliati, pur senza certezza. Recentemente, quindi, il fenomeno degli attentati terroristi, di matrice jihadista, in Turchia, sembra essersi intensificato. Perché?

Fine del sogno neo-ottomano di Erdogan

Analizzando la tradizionale posizione dello stato euro-asiatico, nello scacchiere mediorientale, il fenomeno sembra strano. Erdogan, infatti, si era posto a capo di una variegata coalizione sunnita, composta dai “fratelli musulmani” di Egitto, Libia e Tunisia, spalleggiata dall’ Arabia Saudita e dagli altri emirati sunniti del Golfo, in opposizione allo schieramento capeggiato dall’Iran sciita, dal Presidente siriano Assad, dagli Hezbollah libanesi e dai curdi (pur essendo, quest’ultimi, musulmani sunniti).

In quanto esponente dell'islam sunnita, Erdogan finanziava i ribelli anti Assad, in Siria (tra i quali sono presenti anche i terroristi di Al Qaeda) e vedeva di buon occhio la presenza di ISIS in posizione strategica tale da interdire – o rendere estremamente difficoltosi – i collegamenti tra i curdi irakeni e il PKK, nonché quelli tra Teheran e Damasco.

Non è un segreto, infatti, che la Turchia finanziava lo Stato islamico acquistando petrolio da esso a prezzi stracciati.

Ottimi erano anche i rapporti tra Ankara e la cosiddetta “opposizione democratica” ad Assad, che Erdogan provvedeva ad armare e della quale aveva accettato di ospitare milioni di rifugiati all’interno dei propri confini.

Un rovesciamento di alleanze poco proficuo per Ankara

Il fallito colpo di Stato dello scorso mese di luglio, la vittoria di Trump, in novembre e l’escalation sfociata nella battaglia di Aleppo, hanno prodotto un rimescolamento di carte sul terreno e un vero e proprio rovesciamento di alleanze nell’area medio orientale. Ad Aleppo, infatti, l’opposizione siriana si è trovata a combattere abbandonata dallo storico alleato turco, e se lo è ritrovato a spalleggiare dietro le quinte gli eserciti filo governativi di Assad, le milizie sciite e l’aviazione russa.

Anche il cessate il fuoco è stato negoziato dai ribelli siriani con i russi, Ankara e Teheran, in assenza degli Stati Uniti e dei paesi arabi.

L’ISIS, quindi, da partner commerciale che era e utile presenza nell’area, è diventato nemico di Ankara, in quanto nemico di Putin, Assad e Teheran. Analogamente, lo sono diventati anche i jihadisti di Al Qaeda, essendo costoro la formazione organizzata più importante tra i ribelli siriani anti governativi. Ecco perché, tutt’a un tratto, Erdogan si è ritrovato gli attentati terroristici nelle città turche.

Nuove alleanze che non investono il problema turco

Gli unici che continuano a rimanere, come prima, nemici giurati di Erdogan sono i curdi, ma ciò non significa che la nuova “scelta di campo” di Ankara gli abbia guadagnato l’appoggio di Putin e di Teheran contro di loro. Anzi, i curdi sono ancora troppo utili alle grande potenze – Stati Uniti, stavolta, compresi – nella lotta contro lo Stato islamico, per essere abbandonati a se stessi, come i ribelli anti Assad.

Insomma, Erdogan sta cominciando a capire a sue spese che non sempre i “giri di valzer” sono apportatori di benefici per chi li compie: la storia, in proposito, fornisce esempi di ciò a non finire.