L'attesa conferenza stampa congiunta tenuta ieri a Washington tra il primo ministro britannico Theresa May ed il padrone di casa Donald Trump è stata piuttosto frettolosa, scarna di contenuti e intramezzata dagli aggiornamenti che il nuovo presidente ha dovuto dare sulla relazione Stati Uniti-Messico; notizia evidentemente di maggior rilievo per alcuni giornalisti americani. Tuttavia, se consideriamo oltre alla conferenza anche il discorso che May ha tenuto il giorno prima a Philadelphia di fronte ai repubblicani, allora emerge un quadro certamente più chiaro su come la premier britannica intende giocarsi le proprie carte con l'alleato americano.

Come è stato da più parti rilevato, gli obiettivi del viaggio di Theresa May sono essenzialmente due: dimostrare ai cittadini britannici che il Regno Unito può contare su altri, potenti amici al di fuori dell'Europa; dimostrare all'Unione Europea che il Regno Unito, da interlocutore privilegiato degli Stati Uniti è nella possibilità di portare Trump su posizioni più gradite a Bruxelles di quanto gli europei sarebbero capaci senza Londra. Dal primo obiettivo dipende la fiducia dei sudditi della Regina in sé stessi e nel governo guidato dai conservatori. Dal secondo obiettivo dipende invece la forza negoziale che May può sperare di far valere nelle trattative con Bruxelles per l'uscita di Londra dall'Unione.

Parlando ai repubblicani, il premier britannico ha anche dimostrato di avere ben presente che sarà il Congresso eventualmente a ratificare il nuovo accordo commerciale bilaterale UK-USA, se mai si farà.

Se per la May e il Regno Unito la posta in gioco è quindi altissima lo stesso non si può dire per Trump e Stati Uniti. Presidente e Congresso, infatti, non devono salvare il proprio paese dall'isolamento politico e commerciale.

May, evidentemente consapevole di ciò, ha perciò cercato di utilizzare i migliori strumenti della retorica per conquistare il cuore e la mente dei suoi interlocutori e convincerli del valore di quella special relationship tanto cara a Londra.

Dopo un avvio un po' rigido ed impacciato, come è nel suo stile, l'inquilina di Downing Street ha snocciolato dati riuscendo anche a tirare fuori un certo tono epico sul finale.

Tra tutti i paesi appartenenti al G-20 la Gran Bretagna è l'unica, oltre gli Stati Uniti, a rispettare l'impegno di devolvere almeno il 2% del prodotto interno lordo alle spese per la difesa, nonché il 20% di questa al miglioramento dell'equipaggiamento militare. Lungi dall'essere uno dei tanti free-riders tanto deprecati da Trump, Londra è quindi un prezioso alleato che fa il proprio dovere senza risparmiarsi. Il commercio tra Stati Uniti e regno Unito ammonta a 150 miliardi di sterline (circa 183 miliardi di euro) e gli investimenti nei due paesi ammontano a ben mille miliardi (1,220 in euro).

E poi riferimenti continui alla sinergia esistita tra Reagan e Thatcher, al ruolo guida che Stati Uniti e Regno Unito hanno avuto nel secolo scorso, continuano e potranno avere negli anni a seguire, ideali, valori e interessi che condividono, Churchill, Churchill e ancora Churchill.

Trump ha si reintrodotto il busto di Winston Churchill nello studio ovale, dove Obama lo aveva sostituito con quello di Martin Luther King, ma deve dimostrare che "America comes first", l'America viene prima di tutti, anche dei cugini oltre Atlantico.