Listone di Sinistra, la Cosa 3, Ulivo 2.0. A prescindere da quello che sarà il nome di battesimo del nuovo soggetto politico progressista, il futuro del Partito Democratico appare segnato. In molti da tempo attendevano solo un segnale per allontanarsi da Matteo Renzi e guardare oltre. Massimo D’Alema ha messo così in moto la sua potente macchina, per attrarre sotto un generoso tetto tutti i malpancisti e farne l’esercito della rivolta. Che l’ex segretario dei DS volesse consumare la sua vendetta finale contro Renzi non è una sorpresa. L’ipotesi elezioni anticipate non ha fatto altro che accelerare una resa dei conti inevitabile sì, ma che mette in secondo piano (ancora una volta) le vere problematiche di fondo interne al Pd.

Nel caos che si respira in via del Nazareno, nessuno può dirsi esente da gravi responsabilità. Nelle ultime ore in molti hanno ribadito la loro fedeltà al partito, pur non sgomberando il campo da scenari alternativi. Quali? Al momento non è dato saperlo anche perché, oltre i discorsi filosofici da Sinistra di salotto, non esiste un vero Piano B.

Le colpe di Renzi

Uscendo allo scoperto in modo così sprovveduto, l’ex premier ha fornito un assist a porta vuota ai suoi rivali. Delegittimando in sostanza il governo Gentiloni, Renzi ha messo nel mirino le urne senza prima dotarsi di una squadra forte per affrontare la nuova campagna elettorale. Chiudendo la porta a un Congresso anticipato invocato a gran voce dalle svariate anime Dem, non ha fatto altro che creare un alibi ai tanti che lo additano di despotismo.

A poco sono servite le rassicurazioni del presidente Matteo Orfini che ieri, intervenendo a Carta Bianca, ha teso la mano alla minoranza: “Se si dovesse andare al voto anticipato non potendo fare in tempo per il Congresso, potremmo trovare il modo per indire tranquillamente le primarie prima delle elezioni”. “Lo dico da presidente del partito garante dello Statuto - ha così aggiunto - il segretario non ha intenzione di sottrarsi”.

Parole importanti che hanno spazzato via qualche nube, ma che non hanno schiarito un cielo che resta tetro presagio di una tempesta pronta ad abbattersi senza preavviso.

Riecco Napolitano

Chi non vuol sentire parlare di scadenza anticipata della legislatura è l’ex Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. “Per togliere la fiducia a un governo - ha avvertito - deve accadere qualcosa e non si fa certo per il calcolo tattico di qualcuno”.

Chiaro il riferimento a Matteo Renzi sempre più deciso a stringere un patto di non belligeranza con M5S, Lega e Fdi, pur di risolvere il problema della legge elettorale e spianare la strada per il voto a giugno. Il rapporto incrinato tra Napolitano e Renzi è un altro tassello che ha contribuito a minare gli equilibri all’interno del PD. A perdere la sua proverbiale pazienza è stato Pierluigi Bersani, anch’egli tentato dall’abbandonare il partito per unirsi alla pattuglia degli scissionisti che seguirà D’Alema. “Non prometto e non garantisco nulla” ha risposto a chi gli chiedeva lumi sul suo futuro. L’ex segretario vive un momento di profondo conflitto interiore, combattuto tra la tentazione di lasciare e il desiderio resistere. Un nodo che dovrà scogliere per forza di cose nei prossimi giorni e che segnerà il futuro del partito.