Non sarà facile. Dalle prime parole parole di Virginia Raggi dopo l’elezione come Primo cittadino della Capitale, traspariva questo sentimento. Ripartire dalle macerie, costruendo una nuova Roma. Ma giorno dopo giorno, i buon propositi sono stati affossati da sentimenti contrastanti e tanti errori, ingenui ma grossolani, di un’amministrazione che non è riuscita a fronteggiare l’immobilismo. Un vero e proprio muro su cui sbattere, su cui farsi male in base alla velocità di impatto. Questioni di fisica, questioni sempre aperte e mai risolte. Mafia Capitale ad oggi sembra essere stato uno specchietto per le allodole, per dimostrare che in Italia le istituzioni ci sono, sono presenti e svolgono il loro lavoro.

Ma i cunicoli sotterranei e secolari di Roma nascondono troppo. E nascondono esponenti di spicco che non si devono definire incapaci perché non in grado di amministrare, ma incapaci nel gestire una situazione che rischia di imploderti in mano.

Le dimissioni di Paolo Berdini

Dimissioni, quelle di Berdini, che pesano: non per via della mancata intesa, ma per una questione strettamente correlata alla praticità. Questo è l’ennesimo caso di dimissioni di un componente della Giunta pentastellata: un peso troppo ingombrante, che rende ingestibile l’opinione pubblica. Un primo approccio è la poca stabilità di una maggioranza che forse non c’è mai stata. E il Movimento dovrà fare i conti con i propri elettori in primis, ma soprattutto con i cittadini romani.

Una spaccatura che aumenta il divario tra Movimento ed elettori. E purtroppo il peso delle dimissioni continue peserà anche sulla matita.

Ma il secondo punto di vista potrebbe pesare ancora di più: un autogoal che potrebbe non essere influente ai fini del risultato, almeno in un primo momento. Premendo il tasto rewind, torniamo indietro di qualche mese, sulla questione Olimpiadi.

La candidatura saltò per via della decisione del Movimento di evitare collusioni di vario genere e di evitare di ricoprire di cemento la città. E proprio la città fu spaccata in due tronconi: i sostenitori del No, per via dell’inutilità di altre opere pubbliche, e i sostenitori del sì, visto che tutto quello avrebbe portato lavoro.

La domanda ora sorge spontanea: “Cosa c’entra la questione Olimpiadi con le dimissioni di Berdini?”. Apparentemente nulla, ma la vicenda che ha sancito la definitiva rottura riguarda pur sempre lo sport. Parliamo del calcio e dell’ Associazione Sportiva Roma, che sta premendo costantemente sulla questione Stadio di proprietà. Berdini ha posto delle condizioni estreme, ovvero senza opere pubbliche e zone residenziali accanto all’ impianto lo Stadio si farà. Condizione ovviamente fittizia, in quanto sarebbe stato un progetto mutilato senza mezzi di trasporto o aree che avrebbero rivitalizzato l’area di Tor di Valle. Opposizione della Raggi. Berdini lascia. E il messaggio che passa dopo questa mossa è semplice: sì ad opere pubbliche.

Le questioni vanno analizzate singolarmente e questo è fuori dubbio. Entrambi gli eventi portano benefici e svantaggi, ma con un’ opinione pubblica continuamente spaccata su ogni argomento e sul piede di guerra per ogni singolo cavillo, questo è l’ennesimo autogoal. E potrebbe pesare su molti fattori.

Berdini alla fine saluta ed attacca, accentuando la questione. Una mossa astuta, che ovviamente chiosa con un “volevo il bene di questa città”. Ma tra bastonate sui denti e contraddizioni, seppur apparenti, si rischia di far sprofondare tutto nel caos. Ancora una volta. E tra Stadi, Olimpiadi e accuse, Roma non ha bisogno di altre polemiche, né di altre macerie. Perché dalle ceneri rinascono le fenici. Dalle macerie non nasce nulla, solamente un’ideologia che potrebbe essere difficile da abbattere. E che potrebbe costare caro all’ intera Capitale, più di uno stadio, più di una semplice dimissione.