La settimana più 'calda' dell'amministrazione Trump. Il presidente degli Stati Uniti si getta alle spalle, per il momento, le gravi accuse che gli sono state rivolte in patria dove l'ipotesi di una sua imputazione per il 'caso Russiagate' non è poi così lontana. Il primo viaggio internazionale della sua presidenza ha avuto luogo in Arabia Saudita e non è assolutamente un caso, anche se di fatto rappresenta una forte contraddizione. Il più islamofobo dei leader della Casa Bianca di ultima generazione inizia il suo tour all'estero da quella che, a tutti gli effetti, è una rigida monarchia islamica.

Dalla penisola arabica, inoltre, si è sempre sospettata la partenza di flussi di denaro a supporto delle organizzazioni jihadiste, Isis compreso. Ma queste sono ovviamente teorie 'complottiste' non supportate da prove certe e l'Arabia Saudita resta un solido alleato statunitense in una zona strategica del mondo. Questo 'feeling' viene celebrato con la vendita ufficiale di armi, da parte del governo statunitense, nei confronti di Riad. Si tratta di sistemi di difesa la cui cessione frutterà agli States qualcosa come 110 miliardi di dollari, con l'obiettivo di raggiungere la cifra astronomica di 350 miliardi nei prossimi dieci anni.

Il rafforzamento delle alleanze

La seconda tappa del viaggio di Donald Trump è Israele.

Un punto decisamente più delicato: oltre al 'Russiagate', una dele bufere che hanno travolto recentemente l'inquilino principale della Casa Bianca riguarda proprio Tel Aviv. Poche ore prima delle rivelazioni di James Comey, l'ex capo dell'FBI che ha parlato di "pressioni" esercitate dalla presidenza per insabbiare le indagini sulle presunte interferenze dei servizi segreti di Mosca in campagna elettorale, Donald Trump era stato nell'occhio del ciclone per altrettanto presunte "informazioni classificate" che lo stesso avrebbe rivelato ai russi durante un incontro ufficiale a Washington.

Notizie che riguardavano la lotta al terrorismo e la cui fonte erano, per l'appunto, i servizi segreti israeliani. Nonostante tutto, non sono previsti scossoni particolari nemmeno in questa visita: il premier Benjamin Netanyahu ha già manifestato apertamente il suo sostegno all'amministrazione Trump, dopo le 'frizioni' con Barack Obama nell'ultimo scorcio della sua presidenza.

Anche in questo caso, l'asse sembra destinata a rafforzarsi.

L'utilità dell'attacco in Siria

Chiaro come il sole che, nei mesi scorsi, la tanto ventilata distensione con la Russia aveva preoccupato tanto Riad quanto Tel Aviv. Mosca, oltre a rappresentare una storica antagonista degli Stati Uniti, ha in atto da anni alleanze considerate 'pericolose' dai partner mediorientali di Washington. Nei palazzi sauditi ed israeliani si temeva, pertanto, che la nuova amministrazione della Casa Bianca potesse in qualche modo posizionarsi in un ruolo più moderato nei riguardi di Siria ed Iran. L'attacco deciso da Trump in territorio siriano, lo scorso aprile, ha avuto una forte valenza dimostrativa in tal senso ed ha messo in luce un aspetto: la posizione americana sulla questione siriana non è cambiata, la Casa Bianca si oppone alla continuità del governo di Bashar al-Assad e questo sarà inevitabilmente un nodo molto intricato da sciogliere nella futura (ancora lontana, ndr) soluzione politica per la Siria.

Quanto a Teheran, le intenzioni del nuovo presidente degli Stati Uniti di 'rottamare' gli storici accordi sul nucleare raggiunti dalla presidenza Obama non sono mai state nascoste.

La visita in Vaticano ed il G7

Gli appuntamenti più attesi nell'agenda presidenziale sono comunque quelli italiani. Il 24 maggio Trump sarà a Roma e si recherà in Vaticano per incontrare Papa Francesco. I rapporti con la Santa Sede non sono certamente idilliaci, l'anno scorso ci sono stati parecchi 'botta e risposta': il pontefice aveva criticato le posizioni estremiste espresse dall'imprenditore newyorkese in campagna elettorale, quest'ultimo aveva twittato risposte infuocate. L'incontro del 24 maggio sarà breve e, probabilmente, molto formale.

Non sposta certamente alcun equilibrio ed ha un valore esclusivamente simbolico anche se, conoscendo l'imprevedibilità di entrambi i personaggi, l'esito è tutt'altro che scontato. Ad ogni modo farà da battistrada a quello che sarà l'impegno più importante, il G7 di Taormina. La lotta al terrorismo, l'immigrazione, la guerra in Siria, la crisi in Corea e l'accordo sul clima. La carne al fuoco è tanta ed è il primo, vero confronto di Donald Trump con i maggiori leader mondiali. Non c'è la Russia, sospesa dal format che è tornato a 7 dopo i fatti legati alla Crimea: in realtà è la questione più delicata del summit siciliano, perché diversi componenti dell'UE hanno ribadito la loro posizione intransigente nei confronti del Cremlino.

Trump è passato da una mano tesa al bombardamento in Siria, dal disgelo all'ipotesi di una nuova guerra fredda, salvo poi creare un 'caso' al primo incontro con i rappresentanti di Vladimir Putin. Al G7 dovrà probabilmente scoprire le sue carte e 'parare il colpo', prima che altre carte siano scoperte ed usate contro di lui dalla Commissione che, a Washington, ha il compito di indagare sul presunto supporto che il presidente, eletto lo scorso novembre, avrebbe ricevuto dal singolare amico-nemico russo.