Fuori dalla stazione di Dandong, una delle ultime statue di Mao ancora presenti in Cina protende il braccio verso Pechino. Il treno si muove lentamente verso il ponte dell’Amicizia che, dopo aver attraversato il fiume Yalu, mi porta in Corea del Nord.
Il contrasto tra due sistemi socialisti
Appena al di là del confine, la città di Sinuiju non ha le luci sfavillanti e kitsch che caratterizzano molte delle città cinesi. Al contrario, mentre cala la sera, il lungofiume sul lato nord coreano rimane in penombra. Solo qualche fioco lampione riflette la propria luce nelle acque dello Yalu.
In attesa della ripartenza verso pyongyang scendo a sgranchirmi le gambe. Le due statue di Kim Il Sung e Kim Jong Il voltano le spalle alla Cina. A differenza del volto serio di Mao, i due leader nordcoreani sorridono, quasi a voler proteggere il Paese e infondere al popolo un ottimismo per quella promessa, mantenuta solo in parte, di un futuro radioso e felice. Nonostante non abbia subito le trasformazioni di Dandong, Sinuiju è comunque cambiata dall’ultima volta che l’avevo vista. La grande piazza del mercato è stata ripavimentata e gli edifici intonacati e ridipinti. Mentre mi allontano, dal finestrino della carrozza vedo nuovi complessi in costruzione. Anche le guardie di frontiera, che prima non si facevano scrupoli nel pretendere dai numerosi cinesi che arrivavano in città parte della merce che avrebbero venduto ai mercatini privati, oggi si comportano con più professionalità: «La corruzione non è diminuita; si è solo spostata nelle città.
Per poter vendere i miei prodotti ai mercati liberi devo pagare tangenti ai funzionari locali i quali si accaparrano le merci migliori prima che possa esporle» mi dice Ba Jadong, un cinese che ogni settimana fa la spola tra Dandong e Sinuiju per vendere generi di abbigliamento.
Attraverso la campagna
Lungo i duecento chilometri di ferrovia per raggiungere la capitale, il treno attraversa campi coltivati a riso che stanno per essere seminati.
L’anno scorso devastanti inondazioni hanno decimato il raccolto e per l’ennesima volta la Corea del Nord non ha raggiunto la fatidica quota di 5 milioni di tonnellate di cereali che le permetterebbe di sfamare la propria popolazione senza ricorrere agli aiuti internazionali. Aiuti internazionali che, secondo l’UN Human Rights Council per il 75% giungono rispettivamente da Cina, Sud Corea, Stati Uniti e Giappone.
Nulla di strano che le nazioni più ostili al governo nordcoreano siano anche le più generose nell’elargire gli aiuti: a nessuno, infatti, gioverebbe un crollo improvviso del regime che porterebbe milioni di profughi a varcare il 38° parallelo per dirigersi a sud o a inondare le aree cinesi a ridosso della frontiera settentrionale.
I donju, i nuovi ricchi nordcoreani
Molto più utile e meno dispendioso, invece, sarebbe aiutare la nascita di una classe media che potrebbe traghettare pacificamente l’economia del Paese verso un mercato misto.
È esattamente quello che trovo a Pyongyang e in altre città principali nordcoreane visitate, come Chongjin o Wonsan, dove stanno prolificando i donju, i “signori dei soldi”.
Sono loro che, grazie a contatti all’estero, rappresentano la nuova classe emergente della nazione. I donju sono nordcoreani che hanno potuto vivere all’estero un periodo sufficiente per guadagnare considerevoli quantità di denaro o sono coloro che hanno parenti in Cina o in Giappone i quali all’inizio supportano il loro spirito imprenditoriale. I donju sono quindi uomini d’affari, ristoratori, manager di aziende che sono riusciti a tessere stretti legami con i dirigenti di partito con cui si accordano per avere via libera ai loro affari in cambio di doni e denaro che, in parte, fluisce nelle casse dello stato, sempre alla spasmodica ricerca di moneta forte.
L’equilibrio che si instaura tra questa nuova classe media e burocrazia è sempre instabile, ma è proprio questa instabilità che, in mancanza di una vera e propria competizione nei rapporti economici, genera la mobilità del mercato.
«I donju occupano quelle posizioni imprenditoriali e economiche che il governo, per mancanza di fondi o di inventiva, non riesce a colmare» spiega Kang Go-eun, professoressa di Economia alla Pyongyang University of Science and Technology, l’unica università privata della Corea del Nord, creata e finanziata dalla Chiesa Cristiana Evangelica sud coreana. Qui una sessantina di professori provenienti da Cina, Stati Uniti, Canada, Corea del Sud e Gran Bretagna si alternano ad insegnare ad una élite di 500 studenti le basi dell’economia di mercato. Nelle aule della PUST, ma anche in alcuni corsi della più famosa università del Paese, la Kim Il Sung University, si sta formando la futura classe economica della Corea del Nord, che si avvia sempre più verso un’economia di mercato.
Economia di stato e economia privata
Iniziata in sordina negli anni Novanta a fronte della crisi alimentare che fece tra 600.000 e il milione di vittime, l’economia privata è oggi fonte del 70-75% delle entrate della famiglia media nordcoreana. Ristorantini, birrerie, piccoli negozi, punti di ristoro sorgono un po’ dovunque nelle città della nazione, così come i golmikjang, i mercati privati dove contadini e privati cittadini possono vendere mercanzie altrimenti difficilmente trovabili nei negozi statali. «Una famiglia che gestisce un ristorantino può incassare anche 500 dollari al mese, una fortuna per un Paese dove lo stipendio di un impiegato statale si aggira sui 50 dollari al mese al cambio ufficiale, che però si riducono a soli 2 dollari al mercato nero» afferma Matthew Reichel, fondatore della Coop Media e che in passato ha organizzato viaggi accademici in Corea del Nord.
La rinascita delle città
Ma la novità più sorprendente ed interessante in una nazione dove la proprietà privata è formalmente proibita, è il fibrillante mercato immobiliare. Le imprese di scambio case (ufficialmente non è possibile comperare un immobile) sono le più redditizie e ambite per i donju e le città principali, a cominciare da Pyongyang, stanno conoscendo una vera e propria speculazione edilizia. Un appartamento di circa 100 mq nel centro della capitale viene pagato anche 150.000 dollari, mentre nuove costruzioni nelle zone residenziali da poco inaugurate, come la recentissima Ryomyong Street o la Mirae Scientist’s Street, le cui abitazioni sono dotate di ogni confort e sono realizzati con materiali innovativi per la Corea del Nord, superano anche i 200.000 dollari.
Il Paese, a dispetto di come viene spesso descritto scrivendo articoli dalla scrivania di una redazione di giornale, è già da almeno 15 anni in fase di sviluppo e basta tornare dopo un solo anno per constatare i drastici cambiamenti, non solo economici, ma anche sociali e politici che stanno sconvolgendo la Corea del Nord.