Una sconfitta difficile da sopportare, di quelle che lasciano il segno, ma realmente imprevista o del tutto annunciata? Si tratta davvero di una sconfitta di partito o del modo più efficace e definitivo per sollevare Renzi da ogni futuro e possibile tentativo di tornare a sedere tra le fila dei possibili papabili della Politica italiana?
Di sicuro, una disfatta che porterà per sempre il volto indelebile dell'ex-premier Matteo Renzi, l'accompagnamento alla deriva di una figura ormai da tempo mal digerita dal suo stesso partito, come dimostrano le reazioni al presunto ritiro delle sue dimissioni, già “posticipate” fino alla composizione delle Camere ed alla nascita del nuovo Governo.
Un ritiro che non arriva mai, ancora una volta annunciato, ancora una volta spostato appena più in là, mentre all'interno scoppia la bagarre e la richiesta di dimissioni con effetto immediato.
I contrari
Nomi come quello del capogruppo dem al Senato, Luigi Zanda, ricordano l'intollerabilità di un simile comportamento, riportando alla luce il caso Bersani e il caso Veltroni, che non attesero “un minuto di più” per ritirarsi dal ruolo di segretari. Proseguono sulla stessa linea di pensiero e di azione, anche Gianni Cuperlo e la ministra per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, convinti che quando si tratti di dimissioni, conti il fare e non il dire.
Un coro quasi del tutto unanime, affinché avvenga una “piena assunzione di responsabilità”, come richiesto e atteso dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che parla di un “gruppo dirigente” che si esenta dall'autocritica continuando a cercare “responsabilità esterne”.
Eppure Renzi resta fermo sulle proprie posizioni e lancia la sfida: “No a inciuci e no ai segretari calati dall'alto”, mentre parla della sua proiezione: “Farò il senatore di Firenze, Scandicci, Insigna e Impruneta, farò il senatore semplice” - ma con una precisazione - “solo una volta terminata la fase dell'insediamento del Parlamento e della formazione del Governo”.
Seppure lo stesso Renzi definisca quello di senatore come “un lavoro che lo affascina”, i contrari di interno-partito non si sentono rassicurati dalle sue parole, come quando afferma: “La nostra responsabilità nei confronti del Paese sarà nel saper dire dei sì, ma nel saper dire anche dei no”, frase pronunciata senza indugio, premessa conclusiva al richiamo di un partito da casa dolce casa: “Restituiamo le chiavi di una casa tenuta bene e molto più in ordine”.
Una “restituzione” che come in ogni buon affare, potrebbe saltare da un minuto all'altro quando si parla dell'ex-premier, unitamente ad una disfatta di partito da "deriva guidata" che non sembra aver stupito nel profondo, almeno non quanto il subitaneo passo indietro sulle dimissioni, fonte di preoccupazione tra i dissuasori interni di una sinistra lacerata. Una conclusione all'atto che sembra voler dire: “avrete le chiavi, ma solo a definitiva conclusione dell'affare e a garanzia del rispetto delle condizioni pre-contratto iniziali".