Ammessi agli esami di maturità con incoraggiante votazione, rischiano una clamorosa bocciatura. Alla prova dei fatti, Di Maio e Salvini (per la verità, più il primo che l’altro) stentano a dimostrare padronanza in materia di grammatica del proporzionalismo, di sintassi Politica e di responsabilità istituzionale.

Berlusconi, dalla postazione dei fuoricorso, ne fomenta i limiti, frapponendosi, con (non casuali) trovate dirompenti, ad ogni possibilità di accordo tra i due. La sua perfomance al Quirinale è stata più che eloquente, sia con la sua invadente presentazione, sia con la sua inopportuna pantomima, sia, soprattutto, con quella “battutaccia” finale che, d’un colpo, ha demolito tutto il senso della dichiarazione appena letta da Salvini, con lui stesso concordata e destinata ad una significativa apertura ai Cinquestelle.

Al netto delle sue ripetute intromissioni, Berlusconi sarebbe uscito vincente dall’incontro quirinalizio per avere, in ogni caso, dato uno sbocco praticabile a questa rischiosa fase di stallo. Avrebbe isolato Di Maio e fatto pesare solo sulle sue spalle la responsabilità di un veto considerato oramai anacronistico nella considerazione della pubblica opinione. Piuttosto, l’atteggiamento del capo di Forza Italia è decodificabile come un implicito richiamo al “Patto del Nazareno”. Dalla sua ultima esibizione è indiscutibilmente scaturito l’effetto di una rivitalizzazione del Pd, che si è potuto rimettere in gioco in un quadro attuativo della concentrica strategia segnata dal “Rosatellum” in funzione anti Cinquestelle e, probabilmente, in quella, da più parti paventata, del “Renzusconismo”.

E’ evidente che il Cavaliere non si sia affatto rassegnato a subire la leadership di Salvini nel centrodestra, come Renzi non si è rassegnato alla (nascente) leadership di Martina nel Pd. E non è improbabile che il primo stia pensando di liquidare Salvini sulla scorta delle esperienze già consumate nei confronti dei Fini, dei Casini e di tutti coloro i quali, in passato, si sono messi di traverso all’interno del suo partito e della stessa coalizione.

E che l’altro stia manovrando per continuare a mantenere il pieno controllo del partito e, visti gli sviluppi più recenti, favorirne il rientro nel governo a beneficio del proprio vorace “cerchiomagico”.

Da queste parti, il convergente disegno è quello di far saltare il meccanismo di quelle prove tecniche di intesa portate a compimento, con riconosciuto successo, dal binomio Salvini – DiMaio con le presidenze delle camere, con gli uffici di presidenza e con le presidenze delle commissioni speciali, prove e riprove funzionali alla possibilità concreta di un accordo per il governo.

Consultazioni nuovo governo, Mattarella preoccupato

Dall’alto della sua cattedra, Mattarella appare preoccupato. La sua breve dichiarazione ha marcato l’assenza di una consapevolezza dei partiti sul momento che l’Italia sta vivendo per le diverse, gravi congiunture interne e internazionali e che le forze politiche mostrano di subordinare ai loro spericolati tatticismi. Il Colle richiede una svolta risolutiva nelle interlocuzioni tra schieramenti. I cittadini vogliono un governo di cambiamento radicale. Si tratta di istanze che reclamano risposte sagge e coraggiose, come ogni nuova missione generazionale. “Qui si parrà la nobilitate” dei due giovani protagonisti, che dovranno dimostrare di potere e saper fare i premier per l’oggi e per il futuro. Altrimenti una bocciatura sarà salutare per loro stessi e (meglio ora che poi) per gli italiani. A questa sessione di esami non c’è appello.