Donald Trump sta cercando di distruggere l'Occidente”. Questo il brutale titolo di un articolo che l'editorialista del New York Times, David Leonhardt, ha pubblicato pochi giorni fa sul prestigioso quotidiano statunitense. Si tratta di una presa di posizione che prende spunto, tra l'altro, dal fallimento dell'ultimo G7 e che ha fatto parecchio rumore in giro per il mondo, tanto che è stata citata da molti altri commentatori.

Trump, strategia politica o impulsività

Leonhardt, premio Pulitzer nel 2011, in buona sostanza tenta di rintracciare una strategia nel comportamento del presidente degli Stati Uniti.

Un compito non facile, perché molti altri analisti politici dubitano che Donald Trump si muova seguendo una chiara strategia. Come scrive Mattia Ferraresi su Il Foglio, nel suo caso si tratterebbe "più di istinti che di intenti". Se però si guarda ai comportamenti del quarantacinquesimo inquilino della Casa Bianca – questa in sostanza la tesi di Leonhardt – allora è possibile discernere un disegno, per quanto esso possa essere probabilmente inconsapevole nella mente del suo stesso autore. E il disegno, sostiene Leonhardt, sarebbe la distruzione dell'ordine mondiale liberale che l'America ha costruito a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ovvero, in altre parole, la distruzione dell'Occidente inteso come quel blocco di alleanze politiche ed economiche messo in atto fin dal 1945.

Le 'prove'

Di “prove” a sostegno l'editorialista ne allinea diverse, tutte abbastanza logiche. “Se un presidente degli Stati Uniti – scrive infatti Leonhardt - volesse delineare un piano segreto e dettagliato per mandare in pezzi l'Alleanza Atlantica, quel piano assomiglierebbe parecchio a quel che sta facendo Trump”. Un piano del genere andrebbe a creare un'aperta ostilità verso i leader di Canada, Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone e l'apertura di fronti di battaglia su questioni artificiali: “Non per ottenere grandi vittorie da parte degli Stati Uniti, ma per creare un conflitto fine a sé stesso”, sottolinea Leonhardt secondo il cui parere un piano di questo tipo prevede anche la ricerca di nuovi alleati internazionali.

Il candidato più ovvio, a questo proposito, è la Russia. “E proprio come fa la Russia, un'America che volesse liberarsi dell'Alleanza Atlantica si intrometterebbe nella Politica interna degli altri Paesi per installarvi nuovi governi anch'essi ostili al vecchio ordine mondiale”.

Sulle tariffe doganali, il presidente sostiene di stare solo rispondendo all'ostilità degli altri Paesi, ma Leonhardt nota come la media dei dazi correnti applicati sui beni importati sia, secondo la Banca Mondiale, solo dell'1,6 per cento, col Canada addirittura al di sotto di questa soglia (allo 0,8).

Insomma, secondo lui si tratta di una guerra dichiarata in base a presupposti palesemente falsi.

E quindi Trump non dice la verità. Come non la diceva, sostiene ancora Leonhardt, sul luogo di nascita di Barack Obama, sulla sua posizione riguardo alla guerra in Iraq, sul numero di persone presenti alla sua inaugurazione, e così via. In sintesi: Trump minaccia di mandare all'aria un'Alleanza durata più di settant'anni sulla base di una bugia.

La risposta degli 'alleati'

Quali che siano le ragioni di Trump, occorre che la risposta degli alleati sia seria quanto la minaccia. Da questo punto di vista, Leonhardt loda la condotta della cancelliera Angela Merkel al recente G7 canadese, “che ha assunto un atteggiamento duro, sì, ma senza determinare una inutile escalation, perché lei aveva capito tutto dall'inizio”.

Quanto ai compagni di partito, occorre che i repubblicani “mettano il Paese sopra al partito”. John McCain nei giorni scorsi ha lanciato l'allarme, ma occorre che i membri repubblicani del Congresso facciano qualcosa di più che mandare tweet preoccupati: “Dovrebbero – scrive Leonhardt – proporre una legislazione intesa a limitare Trump e indire delle audizioni per scoprire le sue motivazioni”.

Per gli elettori americani, infine, si tratta di rendersi conto di che cosa ci sia davvero in ballo alle prossime elezioni di Midterm (le consultazioni di metà mandato che si svolgono due anni dopo l'elezione del presidente e riguardano il Congresso USA, le assemblee elettive ed alcuni governatori dei singoli Stati). Per Leonhardt si tratta né più né meno di un referendum sugli ideali storici ai quali finora l'America ha sempre cercato di rimanere fedele. Finora, appunto.