È stato condannato a 3 anni e 6 mesi Alexej Navalny, l’oppositore russo rientrato in patria il 17 gennaio, dopo la degenza durata 5 mesi a Berlino, causata da un tentativo di avvelenamento da agente nervino. L’accusa a carico di Navalny è di aver violato i termini della sospensione della pena di una condanna risalente al 2014. Dalla permanenza in colonia penale dell’oppositore politico sono però da sottrarre 12 mesi, già scontati ai domiciliari in seguito al caso Yves Rocher.

Nell’agosto 2020, dopo aver accusato apertamente Putin di essere il mandante del suo avvelenamento, veniva prontamente trasferito nella capitale tedesca per ricevere assistenza medica.

Proprio per questo, durante il recente intervento in aula, Navalny ha attaccato duramente Putin, definendolo come colui che passerà alla storia per essere “Vladimir l’Avvelenatore”.

Non è la prima volta, infatti, che il Cremlino viene accusato di utilizzare il gas nervino per eliminare oppositori e spie: il principale rimando è alla spia russa Sergei Skripal e alla figlia, entrambi trovati privi di sensi su una panchina nel 2018.

La rabbia delle piazze

Mentre la sentenza veniva pronunciata, al di fuori dell’aula più di 300 sostenitori venivano arrestati, andando a sommarsi alle oltre 8000 persone già fermate durante le molteplici proteste e scontri dei giorni scorsi. La rabbia che si è riversata nelle piazze delle principali città russe non è da considerare esclusivamente associata al destino di Navalny: gli esperti le ritengono sintomo di un malcontento crescente, correlabile alla precarietà del contesto economico e alla mala gestione dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus.

Il Cremlino rimane fermamente deciso sugli arresti e, in risposta, irrigidisce le sanzioni per chi è sceso in piazza a manifestare, etichettando i dissidenti come “teppisti e provocatori”.

La risposta dell'Europa

La risposta dei vertici dell’Unione Europea non si è fatta di certo attendere: Ursula Von der Leyen in un tweet condanna duramente la sentenza di Alexej Navalny e ne richiede il rilascio immediato.

Anche il consiglio d’Europa si è espresso, incentrandosi sulla detenzione di centinaia di manifestanti arrestati durante i violenti tentativi di repressione delle proteste: in un tweet si esorta la Russia ad “indagare pienamente su tutte le segnalazioni di abusi commessi contro manifestanti pacifici e giornalisti e di perseguire i responsabili”, secondo “obblighi e impegni assunti dalla Russia in quanto Stato membro del Consiglio d’Europa”.

In seguito alle critiche provenienti dalle cariche dell’Unione Europea, il portavoce russo Dimitri Peskov ribatte con fermezza, affinché l’Unione non cada in errore, collegando “le prospettive delle relazioni Russia-Ue al caso di questo detenuto”.