La notizia dell'arresto a Parigi di sette terroristi italiani - uno invece è ancora irreperibile, mentre altri due inizialmente in fuga, Luigi Bergamin e Raffaele Ventura, si sono costituiti - condannati in Italia per reati che vanno dalla costituzione di banda armata fino all'omicidio plurimo, ha fatto il giro del mondo. E, come sempre succede quando salgono alla ribalta mediatica i protagonisti e gli avvenimenti di quei lontani ma pur sempre dolorosissimi 'anni di piombo', si riaccende il dibattito intorno al come ed al quando la memoria e la giustizia troveranno finalmente pace.

Gli arresti di Parigi: la svolta di Macron

Quando nel 2019 viene ratifica la Convenzione di Dublino che regola le norme relative all'estradizione fra gli Stati membri dell'Unione europea, in particolare di tutti quei cittadini che si sono macchiati di reati connessi al "terrorismo ed ai reati di cospirazione o associazione per delinquere", inizia una nuova fase nei rapporti fra Francia ed Italia: il presidente Macron accontenta le richieste degli inquirenti italiani e mette a punto un'operazione chiamata 'Ombre Rosse' per arrestare alcuni terroristi nostrani, rifugiatisi in territorio francese e protetti dalle garanzie innescate dalla cosiddetta 'dottrina Mitterrand', dal nome dell'ex presidente della Repubblica Francese che negli anni '80 scelse di offrire asilo politico agli imputati per reati politici.

Così, dopo aver telefonato al premier Mario Draghi per avvertirlo della svolta e consentire lo svolgimento del blitz, all'alba del 28 aprile gli agenti transalpini hanno prelevato dalle loro case Sergio Tornaghi, Enzo Calvitti, Roberta Cappelli, Giovanni Alimonti, Narciso Manenti, Marina Petrella e Giorgio Pietrostefani. Questi ultimi due nomi sono forse i più conosciuti nel panorama dell'eversione di estrema sinistra: la Petrella ha militato nella cosiddetta colonna romana delle Brigate Rosse partecipando al sequestro del giudice Giovanni D'Urso e all'omicidio del generale Enrico Galvaligi; mentre Pietrostefani, fra i fondatori di Lotta Continua, è stato condannato come mandante dell'omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi.

Si è sempre dichiarato innocente e, anche per le sue precarie condizioni di salute, ci furono diversi tentativi per fargli ottenere la grazia da vari presidenti della Repubblica italiana.

La soddisfazione italiana

Le istituzioni hanno chiaramente celebrato quest'operazione di polizia, così come la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha espresso la convinzione che questi arresti portino nuova fiducia nei confronti del Paese e soprattutto creino le condizioni per trovare la strada giusta per riconciliarsi con le profonde ferite ancora molto vive prodotte dal terrorismo del secolo scorso.

Una posizione che ha subito innescato un turbinio di distinguo e malcontenti fra alcuni intellettuali, politici e giuristi che leggono questa cattura non solo come estremamente "tardiva", ma anche come eccessivamente punitiva nei confronti di persone che, secondo il loro punto di vista, hanno comunque seguito un percorso di rinnovamento personale e politico: di questo avviso sono per esempio lo scrittore Erri De Luca, che ha militato per anni proprio nelle fila di Lotta Continua, e pure dell'ex parlamentare e sociologo Luigi Manconi. Mentre, anche fra le vittime di quel periodo, Mario Calabresi, giornalista e figlio del commissario assassinato nel 1972, pur esprimendo la propria soddisfazione nel vedere come sia stata fatta finalmente giustizia, sostiene che l'età avanzata degli imputati gli impedisca di gioire fino in fondo per il loro arresto. Insomma, ancora una volta, come per il caso di Cesare Battisti, il dibattito è più che mai aperto.