La Corte costituzionale ha giudicato "ammissibili" cinque degli otto quesiti referendari sottoposti al suo giudizio. Quelli ammessi sono tutti quesiti riguardanti il tema della giustizia, promossi da Lega Nord e Radicali. Tre sono invece i quesiti bocciati dalla Consulta: i due maggiormente cari a Radicali e associazioni, ovvero quelli relativi all'eutanasia e alla depenalizzazione della coltivazione della cannabis, e quello sulla responsabilità civile dei magistrati.

I quesiti ammessi

I cinque quesiti sui quali si voterà in primavera riguardano i seguenti argomenti: separazione delle funzioni di giudice e di pubblico ministero, abrogazione di alcuni provvedimenti in tema di incandidabilità di parlamentari e amministratori locali (legge Severino), limitazione del ricorso alle misure cautelari, possibilità di ammettere il voto degli avvocati nei consigli giudiziari e modifiche relative all'elezione dei togati all'interno del Csm.

Questi ultimi due aspetti, in realtà, vengono considerati di minore impatto poiché relativi a temi già affrontati dalla riforma avviata dal ministro della Giustizia Marta Cartabia.

I quesiti giudicati 'inammissibili' e le motivazioni della Corte

Dopo due giorni di riunione, la Consulta ha anche dichiarato l'inammissibilità degli altri tre quesiti referendari su cui era stata chiamata ad esprimersi, ovvero: responsabilità diretta dei magistrati, eutanasia e depenalizzazione in materia di cannabis (che, secondo alcuni osservatori, rappresentano le questioni su cui la cittadinanza si è dimostrata maggiormente sensibile). Al termine della riunione, è stato lo stesso presidente dell'alta Corte Giuliano Amato a motivare la bocciatura dei quesiti affermando che i quesiti erano "mal formulati" e che da parte dei giudici non vi è stata "alcuna preclusione Politica".

In merito al referendum sull'eutanasia, ad esempio, Amato ha fatto presente che, pur essendo stato dipinto come tale, il relativo quesito riguardava invece l'omicidio del consenziente ed era formulato in maniera tale da poter essere esteso a situazioni anche molto diverse da quelle cui si applica l'eutanasia, portando a "un risultato costituzionalmente inammissibile".

Riguardo alla cannabis, invece, il quesito trattava in realtà la legalizzazione delle sostanze stupefacenti. Come ha spiegato lo stesso Amato, una vittoria del sì avrebbe comportato la possibilità di estendere la legalizzazione anche a sostanze alla base di droghe pesanti quali papavero e coca, con conseguente violazione degli obblighi internazionali.

Le reazioni politiche

Variegate e di diverso segno le reazioni alle decisioni della Consulta, sia all'interno della politica che fuori. Ad esultare è soprattutto il leader della Lega Matteo Salvini, uno dei più attivi promotori dei referendum sulla giustizia, che ricorda come i quesiti ammessi dalla Corte saranno "presto sottoposti al voto popolare". Soddisfazione anche da Fratelli d'Italia che tuttavia, come ricorda il deputato e responsabile Giustizia del partito Andrea Delmastro, resta dubbiosa in merito ad alcuni quesiti referendari relativi alla giustizia: in particolare, la limitazione della custodia cautelare e l'abrogazione della legge Severino. Su quest'ultimo punto, invece, esprime un giudizio positivo il presidente dell'Anci Antonio Decaro, il quale definisce i referendum "una prova e un esercizio di democrazia da parte dei cittadini".

Delusione, invece, da parte dei Radicali e delle associazioni a sostegno dei quesiti su eutanasia e cannabis. Secondo il deputato di Più Europa Riccardo Magi, la Corte costituzionale ha fatto ciò che aveva detto che non avrebbe fatto, ossia "cercare il pelo nell'uovo". Alcune forze politiche, a partire da Pd e M5s, chiedono che ora sia il Parlamento a disciplinare materie come il fine vita e la legalizzazione della cannabis, proprio sulla base delle raccomandazioni della Consulta.

Delusa anche l'Associazione Luca Coscioni, il cui tesoriere Marco Cappato definisce Amato come "una personalità molto politica", così come la decisione presa dalla Corte.

Di tutt'altro tenore le reazioni del dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, secondo cui l'eutanasia e il suicidio medicalmente assistito "non sono forme di solidarietà sociale" o "di carità cristiana" perché, come ricordato anche dal Papa, "la vita è un diritto, non la morte".