I numeri, soprattutto in Politica, sono la base da cui partire perché senza un substrato solido anche la più bella delle idee è destinata ad estinguersi. E ad oggi, quei numeri, lontanissimi dalle cifre del secolo scorso, fanno comprendere che per la Democrazia Cristiana, “patrimonio” storico-culturale del nostro Paese, c’è tanto da lavorare.
Come intervenire per ritornare ai fasti di un tempo, ove i popolari di matrice cristiana si ponevano da equilibratori tra i banchi del parlamento, è una delle domande che abbiamo posto a Gianfranco Rotondi, ex senatore ed ex ministro (durante il Governo Berlusconi IV, ndr) strettamente legato al mondo “Scudo Crociato”.
L'intervista a Gianfranco Rotondi: 'Nella Dc serve una figura riconoscibile'
La DC, analizzando i dati nazionali, è assai lontana dagli elettori di ultima generazione. In che modo lei potrà avvicinarsi a questa importante fetta di elettorato? C’è bisogno di un processo di svecchiamento?
Dal 1994 l’Italia vive una separazione tra identità e rappresentanza politica: gli elettori sono rimasti spesso democristiani, socialisti, comunisti, ma i partiti hanno rinunciato a quelle identità, preferendo slogan ammiccanti e riferimento a leadership individuali. Penso che oggi torni l’interesse per le grandi idee della storia, particolarmente quelle storicamente vincenti, come il popolarismo e il solidarismo Cristiano.
Forse però, nel tempo delle leadership individuali, noi dc avremmo bisogno di una figura di sintesi riconosciuta e riconoscibile.
Lo stesso problema lo si ha anche in Europa. Dall’Ungheria alla Danimarca sembra che i democristiani siano stati defenestrati dal duopolio dei conservatori e dei progressisti.
All’inizio degli anni Ottanta alcuni intellettuali posero alla Dc il problema del rapporto col mondo conservatore, che votava Dc in funzione anticomunista, ma andava coltivato diversamente dopo la caduta del muro di Berlino.
La gran parte degli elettori Dc era classificabile come conservatrice, a differenza della classe dirigente del partito più sofisticata culturalmente. In realtà in Europa il bipolarismo è tra popolari e socialdemocratici, l’anomalia Italia é che i democristiani in parte sono finiti coi socialdemocratici e in parte si sono dissolti in dieci partiti.
Tornando in Italia, i centristi, con lei come regista e Calenda e Renzi come il "nuovo" che avanza, potevano avere un ruolo di equilibrio in questo governo. E invece, fra dispute interne e manie di protagonismo il Terzo Polo sta divenendo una macchietta. Da politico navigato ed abile mediatore potrebbe trovare una chiave di volta che permetta finalmente di unire i vari capi politici ed unire i vari partiti sotto un unico vessillo?
Di Matteo Renzi e Calenda non parlerei perché non si sono mai riconosciuti nell’alveo popolare. Il loro è un centrismo geometrico con aspirazioni vagamente contrattualistiche.
Il legame con Silvio Berlusconi e le dimissioni del 2011
È stato Ministro con Berlusconi, un uomo che con tutte le sue contraddizioni ha cercato di rafforzare il legame Destra-Centro.
La sua morte, tuttavia, potrebbe aver posto fine a questo periodo idilliaco in quanto la coalizione guidata dalla premier Meloni dovrebbe per natura esser meno morbida su diversi aspetti etici a dispetto dei “forzisti”.
Berlusconi è irripetibile. La sua leadership è stata amata da tutti gli elettori del centrodestra, e alla fine anche da molti della sinistra, che vedevano nel Cavaliere l’avversario conosciuto, mai cattivo e persino a tratti rassicurante. Non si può chiedere a Giorgia di proseguire una storia e un metodo finiti con Silvio. Giorgia deve scrivere la sua storia, e noi dobbiamo aiutarla.
Un’ultima domanda. Non più di una settimana fa, attraverso le pagine di Libero, lei ha attaccato Sarkozy e la Merkel, fautori della caduta del Cavaliere in quel nefasto 2011.
A quel tempo tutti sapevano dell’ingerenza franco-tedesca ma nessuno ha avuto il coraggio di denunciare tale azione. Come mai?
Nel centrodestra esistevano più lacerazioni di quelle che apparivano. Non c’era solo Fini a contestare la leadership di Berlusconi, anche nel Pdl c’erano tensioni sulla gestione del partito che si riflettevano sull’andamento del governo. E poi il governo Berlusconi cadde principalmente per la defezione parlamentare di Antonione e Destro, due deputati del Nordest che fecero venir meno la fragile maggioranza alla Camera. Berlusconi si dimise per evitare la sfiducia, non certo a causa di Sarkozy, e nemmeno dello spread, che sarebbe rientrato fisiologicamente, come poi avvenne, e non certo per merito del dimenticabile governo di Monti.