Cecilia Sala, la giornalista de Il Foglio che era detenuta nel carcere di Evin in Iran dallo scorso 19 dicembre, è stata liberata.

Frutto del lavoro di intelligence portato avanti in simbiosi dall’Italia e dagli Usa, che negli ultimi giorni avevano apertamente dichiarato di essersi schierati con Roma contro la pratica degli iraniani di rapire cittadini stranieri per usarli come ‘merce di scambio’ in vista del rilascio di propri connazionali.

Connazionali iraniani che nel caso di Cecilia Sala hanno un nome e un cognome: Mohammad Abedini-Najafabad, esperto iraniano-svizzero di droni che è stato tratto in arresto in Italia lo scorso 16 dicembre proprio su mandato di estradizione degli Stati Uniti.

Che le due vicende fossero connesse non è una semplice ipotesi formulata dai media quanto piuttosto una certezza comprovata da quanto aveva dichiarato l’ambasciatore dell’Iran Mohammad Reza Sabouri.

Perché le vicende Sala e Abedini-Najafabad sono collegate?

È sufficiente tornare al 2 gennaio scorso, quando il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha fatto convocare l’ambasciatore dell’Iran, Mohammad Reza Sabouri. A seguito dell’incontro, Sabouri ha pubblicato un post sui profili social dell’ambasciata spiegando chiaramente che le condizioni detentive di Sala erano connesse a quelle di Mohammed Abedini Najafabadi, l’ingegnere arrestato a Malpensa lo scorso 16 dicembre con l'accusa di essere un trafficante di tecnologia bellica.

È stata la prima volta che un membro rappresentante del governo iraniano ha pubblicamente ammesso il legame a doppio filo tra due tipologie di situazioni detentive che coinvolgano degli iraniani arrestati in territori stranieri. L’ambasciatore si era comunque affrettato a precisare che Cecilia Sala ha ricevuto numerose agevolazioni come la possibilità di “fare telefonate” o di parlare col proprio ambasciatore sul luogo.

E Mohammed Abedini Najafabadi? In un primo momento era stato tradotto nel carcere di Rossano, in provincia di Cosenza, un luogo ritenuto troppo scomodo per gli iraniani o l’avvocato o la famiglia che risiede in Svizzera, per andarlo a trovare. A Rossano sono detenuti altri individui sospettati o condannati per terrorismo islamico di matrice sunnita o affiliati (o presunti tali) a clan mafiosi, un luogo insomma ‘poco ospitale’ per un ingegnere che è stato poi trasferito nel carcere di Opera a Milano.

Qual è stato il ruolo degli Usa?

L’arresto di Najafabadi era stato operato dalle autorità italiane su mandato degli Usa. Che una volta appurato il collegamento tra lo stato detentivo dell’ingegnere iraniano e quello della giornalista italiana non hanno perso tempo a schierarsi con Roma. Il messaggio filtrato neanche troppo velatamente da Washington era chiaro: l’Iran deve smetterla di arrestare arbitrariamente cittadini stranieri per usarli come “leva Politica” e deve provvedere al “rilascio immediato e incondizionato” di tutti i detenuti. Cecilia Sala inclusa.

Il perché di un astio del genere ha radici ben più profonde. Nel settembre del 2023 cinque americani detenuti da anni in Iran sono stati scarcerati in cambio di cinque iraniani che si trovavano in custodia negli Usa e di un corrispettivo di sei miliardi di dollari in beni iraniani congelati da rilasciare dalla Corea del Sud.

Ancora prima, nel 2009, la giornalista americana Roxana Saberi era stata detenuta per 100 giorni prima di essere rilasciata. Stessa sorte era toccata al giornalista del Washington Post Jason Rezaian, che è stato detenuto dall'Iran per un anno e mezzo prima di essere scarcerato nel 2016 in uno scambio di prigionieri tra Iran e Stati Uniti.