L'INPS fa un passo indietro, su espressa richiesta del Ministero del Lavoro, e ritorna al passato,decidendo di non modificare l'orientamento amministrativo già seguito dalMinistero dell'Interno, che gestiva l'invalidità civile, nonostante il diverso reiteratoorientamento della Corte di Cassazione.
Pertanto, con messaggio n.717 del 14 gennaio 2013 decide che, "sianella liquidazione dell'assegno ordinario mensile di invalidità civileparziale, sia per la pensione di inabilità civile si continuerà a far riferimentoal reddito personale".
Nemmeno un cenno alla circolare149/2012, come se nessuno mai la avesse scritta e approvata.
Invero, l'INPS decide disoprassedere a quanto deciso, in attesa della "preannunciata nota ministeriale a chiarimento della complessa materia". Il richiamo alla complessità della materia,lascia prevedere tempi tanto lunghi da far passare la tempesta elettorale, cheha dato risonanza alle proteste scomposte di associazioni e sindacati cheprosperato in "difesa" degli invalidi.
Sorprende, però, e lasciaperplessi l'affermazione secondo cui la decisione sarebbe stata presa in "considerazione di un'interpretazionecostituzionalmente orientata degli artt. 12 e 13 della legge n. 118/1971",perché è come tacciare d'incostituzionalità l'orientamento della Cassazione cheha spiegato, con dovizia di analisi, i motivi a fondamento delle reiteratedecisioni di valutare anche i redditi del coniuge per la determinazione deilimiti reddituali relativi alla concessione della pensione agli invalidi civilitotali.
Il richiamo dell'INPS agliarticoli 12 e 13 della legge 118/1971, che a loro volta richiamano l'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, èprivo di pregio, giacché la norma è stata più volte modificata da successiveleggi.
Non è neppurecondivisibile il clamore sollevato da più parti, facendo confusione trainvalidi e handicappati bisognosi di accompagnamento che permane sganciato da qualsiasireddito.
Né appare assorbente ilrilievo del Ministero, espresso nel suo comunicato, secondo cui l'orientamentodella cassazione porterebbe a conseguenze non eque, perché finirebbe peravvantaggiare le persone non sposate. Non sfugge, infatti, che l'orientamentogenerale della legislazione assistenziale è di prendere in considerazione i redditiconiugali, sia pure con diversificazione dei limiti reddituali nelle duesituazioni.
La verità è che, considerandosolo il reddito personale, lo Stato comunità si sostituisce completamente alnucleo familiare, anche in situazione di assoluta agiatezza. E ciò sembracontrastare con i principi costituzionali e stridere con la situazione didissesto dei conti pubblici, perché le poche risorse disponibili dovrebberoessere indirizzate verso chi realmente ne ha bisogno.
Non secondaria, infine,appare la considerazione che in materia si è creata una situazione paradossalein cui i ruoli tra Pubblica Amministrazione e Magistratura si sono invertiti,là dove quest'ultima nega ciò che l'INPS concede, sì che ove l'invalidità siaaccertata in fase amministrativa la pensione è erogata, indipendentemente deiredditi del coniuge, ove l'invalidità sia accertata dal Giudice tali redditisono presi in considerazione e la pensione rifiutata.
La speranza è che illegislatore intervenga e metta ordine in tutta la materia, ma lasciando all'INPS una reale autonomia nell'applicazione delle norme, senza alcunaintromissione politica.