I mari sempre più inquinati inevitabilmente finiscono col contaminare le specie che vi vivono, in particolare pesci e molluschi. Secondo uno studio condotto dalla University of Ghent in Belgio chi è solito consumare abitualmente del pesce in un anno ingerisce più di 11mila frammenti di plastica. Queste microparticelle si accumulano nel nostro organismo e possono causare danni anche a lungo termine.

Il dottor Colin Janssen, nel corso di una intervista rilasciata a Sky News ha spiegato che negli oceani galleggiano circa cinquemila miliardi di materiale plastico: per i ricercatori più del 99% di questi frammenti vengono ingeriti attraverso il cibo.

Se prendiamo ad esempio le cozze sappiamo che i mitili riescono a filtrare circa 20 chili di acqua al giorno e l'ingestione di plastica avviene per errore. Ogni cozza contiene micro-particelle di plastica che assorbe nei tessuti.

Inquinamento dei mari e rischio per la salute

Per i ricercatori se il problema dell'inquinamento dei mari e degli oceani non verrà affrontato adeguatamente, entro la fine di questo secolo chi mangia abitualmente pesce si troverà ad ingerire circa 780mila pezzi di plastica all'anno, di cui 4000 assorbiti dal sistema digerente. Insomma si tratta di uno scenario poco rassicurante.

L'Inquinamento dei mari non deriva soltanto dalla plastica. Lo sversamento degli scarichi tossici nelle acque marine è un'altra importante fonte di inquinamento.

Il metallo più nocivo per la salute che si accumula nelle specie ittiche è il mercurio. In particolare tra i prodotti più a rischio vi sarebbe il tonno rosso. Questo perché cibandosi di grandi quantità di pesci tende ad accumulare di più le sostanze tossiche. Nel tonno a pinna gialla che è quella utlizzata per le scatolette, vi sarebbe invece un minor numero di inquinanti.

Via libera invece al consumo di pesci di piccola taglia quali sardine, sarde, acciughe alici e sarde. I pesci di allevamento quali anguille, orate spigole e trote presentano livelli di mercurio al di sotto di quelli previsti dalla legge in quanto gli allevatori sono tenuti al rispetto di normative molto restrittive per quanto riguarda i mangimi.