La scienza ci pone sempre più dinanzi a traguardi che soltanto qualche decennio fa apparivano inarrivabili o addirittura fantascientifici. In particolare sta facendo molto discutere il risultato ottenuto dai ricercatori dell'Università di Cambridge. Gli studiosi, utilizzando delle cellule staminali di topo, sono riusciti a far sviluppare in laboratorio il primo embrione artificiale. Ma vediamo più nel dettaglio come si è svolto l'esperimento.

Lo studio, che è stato guidato da Magdalena Zernicka-Goetz, ha preso le mosse dalla coltivazione di cellule staminali embrionali.

Tali cellule hanno preso ad assemblarsi e organizzarsi spontaneamente in una struttura tridimensionale. Insomma già questo risultato, che prendeva forma sotto gli occhi dei ricercatori, ha un che di prodigioso e miracoloso. In sostanza l'esperimento ha riprodotto tutte le fasi relative allo sviluppo di un embrione in una struttura a carattere tridimensionale.

Embrione artificiale e prospettive per la ricerca

I ricercatori hanno imitato il processo naturale che presiede alla vita: l'ovulo una volta fertilizzato inizia a dividersi per generare delle cellule staminali embrionali che si organizzano in una struttura. Gli autori della ricerca grazie all'utilizzo di tecniche all'avanguardia, hanno fatto sì che le cellule di topo fossero in grado di formare una struttura tridimensionale con caratteristiche del tutto simili all'embrione naturale.

Dopo una settimana l'embrione ha dato luogo all'inizio di una placenta e allo sviluppo del topo vero e proprio. Il processo è stato interrotto dai ricercatori, ma se non lo avesserio fatto, gli embrioni avrebbero continuato a svilupparsi.

I ricercatori hanno spiegato che i risultati della ricerca non rappresentano il primo passo verso l'embrione artificiale umano, in quanto la formazione di un feto è qualcosa di molto più complesso, rispetto a quanto sono riusciti ad ottenere in laboratorio.

In ogni caso per la ricerca si aprono molti e interessanti scenari. L'embrione artificiale consentirà ad esempio di comprendere più a fondo le prime fasi dello sviluppo embrionale e quindi potrebbero essere chiariti i motivi per cui due gravidanze su tre sono destinate a fallire. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science.