Finalmente arrivano buone notizie sul fronte delle terapie anti-emicrania, una patologia che, solo nel nostro Paese, affligge nella sua forma cronica 800 mila persone ma che, nelle forme saltuarie, interessa 5 milioni di italiani. Negli ultimi anni si sta consolidando un nuovo approccio terapeutico che consiste nell’inibire il recettore di un peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP). Si tratta di un neurotrasmettitore cerebrale che, durante gli attacchi di emicrania, aumenta. Gli inibitori in sviluppo, ce ne sono quattro, sono tutti anticorpi monoclonali.

Intanto si ricorrono notizie positive nella corsa a questo obiettivo: il Galcanezumab ha superato brillantemente la Fase 2b di sperimentazione clinica mentre Erenumab, dopo aver superato gli studi clinici di Fase 3, potrebbe essere approvato entro giugno.

Quattro anticorpi in corsa contro il mal di testa

Sono quattro gli anticorpi anti-CGRP in fase avanzata di sperimentazione clinica, Galcanezumab (Eli Lilly), Fremanezumab (Teva Pharmaceuticals), Eptinezumab (Alder Biopharmaceuticals) e Erenumab (Amgen). Tutti e quattro hanno in comune la stessa destinazione, un neuropeptide composto da 37 amminoacidi, chiamato CGRP (calcitonin gene-related peptide), prodotto in quantità eccessiva nei neuroni del sistema trigemino-vascolare e responsabile dell'attacco emicranico conseguente una forma di infiammazione localizzata.

La scoperta di questo target, nella genesi dell’emicrania, inizia con lo studio di piccole molecole ad attività inibente il recettore CGRP, ampiamente distribuito nel nostro corpo. Ma questi composti sono risultati particolarmente tossici. Il problema della tossicità è stato ora superato con gli anticorpi monoclonali, aventi come bersaglio di azione proprio il CGRP.

Il primo anticorpo ad arrivare a registrazione, nei prossimi mesi, potrebbe essere Erenumab, che ha superato con successo due studi clinici di Fase III. Il primo (Strive) su 995 pazienti ed il secondo (Arise) su 577 pazienti. In entrambi i casi, una sola iniezione al mese ha assicurato una riduzione significativa (meno 60%) degli episodi di emicrania durante il mese a fronte di effetti indesiderati paragonabili al gruppo placebo.

Ora Amgen, in collaborazione con Novartis, puntano ad ottenere l’approvazione da parte dell’FDA entro il primo semestre 2018.

Passi avanti anche con Galcanezumab

Questi giorni sulle pagine di JAMA Neurology sono stati pubblicati i risultati dello studio clinico, Fase 2b, sull’anticorpo monoclonale Galcanezumab, risultato efficace, sicuro e tollerabile nel trattamento preventivo dell'emicrania. L’evidenza arriva da uno studio che ha visto coinvolto 410 pazienti (età 18-65 anni) che normalmente soffrivano di emicrania per 4-14 giorni ogni mese. Questi pazienti, trattati con iniezioni sottocute di Galcanezumab, (5 mg, 50 mg, 120 mg o 300 mg quattro volte al mese), sono stati confrontati con un gruppo di controllo trattato con placebo.

I gruppi trattati alle due dose più elevate (120 e 300 mg) hanno risposto positivamente nel 95% dei casi, riducendo significativamente (almeno il 50%) gli attacchi di emicrania mensili. Sono proprio questi i dosaggi che Eli Lilly ha scelto per gli studi clinici di Fase 3 (EVOLVE-1, EVOLVE-2 e REGAIN). Studi che stanno per essere completati prima di procedere alla richiesta di approvazione alla FDA.

Anche Teva, con Fremanezumab, e Alder Biopharmaceuticals, con Eptinezumab, stanno completando gli studi clinici di Fase 3. C’è da starne certi, entro la fine dell'anno i pazienti che soffrono di emicrania avranno a disposizione una nuova classe di farmaci contro i loro disturbi. Solo in Italia interessa il 12% della popolazione di cui il 4% in forma cronica.

Chi ne è colpito soffre di dolori acuti e pulsanti che, a volte, possono durare diversi giorni ed essere accompagnati da nausea, vomito. Oltre a disturbi alla vista e all'udito. Il tutto con pesanti ripercussioni sulla qualità della vita di relazione e lavorativa.

I nuovi farmaci potrebbero dare una risposta concreta ai pazienti che soffrono di emicrania, disturbo che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) pone al sesto posto tra le possibili cause di disabilità. Resta solo da chiedersi, a che prezzo, visto che finora non sono stati anticipati i costi di una terapia di questo tipo.