In una società in cui ci viene continuamente richiesto un alto livello di performance in tutti gli ambiti e, magari, in un lasso di tempo ristretto, lo stress è diventato un’esperienza quotidiana condivisa. Secondo gli psicologi, una dose “moderata” di stress potrebbe costituire uno stimolo a svolgere al meglio i nostri compiti, agendo positivamente sulla motivazione. Si parla, in questo caso, di “eustress”: ovvero “stress buono”, dalla radice greca eu che indica qualcosa di positivo.
Ma cosa succede quando i livelli di stress diventano eccessivi?
In questi casi, si parla di “distress”: uno stato negativo di attivazione che può, in situazioni estreme, portare allo sviluppo di patologie psichiche come gli attachi di panico o fisiche come la sindrome da fatica cronica. Quando il distress si manifesta per periodi prolungati ed è legato all’ambito lavorativo, assume le forme del “burnout” o “stress lavoro correlato”.
Che cos’è il burnout?
Dall’inglese burn, cioè “bruciato”, questo termine fa riferimento alla sensazione di logoramento – fisico ed emotivo- provata da chi ne ha avuto esperienza. E’ stato introdotto nella letteratura scientifica soltanto negli anni ’70 da Maslach, la psicologa che per prima decise di studiare le modalità attraverso cui veniva gestito lo stress nelle professioni di aiuto, a cominciare dalle figure degli infermieri.
Ciò che emerse da questi studi fu che gli individui che lavoravano nell’ambito delle professioni di aiuto erano particolarmente soggette al rischio di ammalarsi. In particolare questa sindrome si manifesta attraverso: l’esaurimento emotivo, cioè la sensazione di aver perso tutte le energie mentali; la de-personalizzazione, ovvero la sensazione di distacco provata nei confronti dell’utente, che viene de-umanizzato; e il senso di inefficacia personale, una sensazione di essere incapaci a svolgere le normali attività quotidiane.
Successivamente questo costrutto ha iniziato ad essere maggiormente studiato in Psicologia, e si è visto come il “job bornout” fosse una sindrome in grado di colpire tutte le categorie lavorative. Si è visto, inoltre, come, più prorompente rispetto alla depersonalizzazione, si manifestasse il sintomo della disaffezione lavorativa: l’atteggiamento di indifferenza e di freddezza verso il proprio lavoro.
Come prevenire l’insorgere di questa sindrome?
Le persone che avvertano il rischio di contrarre questa sindrome possono però agire attivamente per prevenirla, attraverso diverse modalità: conducendo uno stile di vita sano (all’interno del quale rientra anche la pratica di marcare una separazione tra lavoro e vita privata); attraverso tecniche di meditazione o di mindfulness; imparando a rafforzare le strategie di coping: quelle strategie che ci consentono di tollerare più facilmente le avversità. Quel che è importante ricordare è quindi la necessità di prestare continua attenzione a quei segnali che rischino di trasformare uno stress positivo in una condizione di grave malessere psichico e fisico per l’individuo.