Nei primi decenni del secolo scorso i due embriologi tedeschi Hans Spemann e Hilde Mangold avevano per primi individuato l'organizzatore dello sviluppo embrionale, una sorta di "regista" di cellule molto semplici. In questo caso vennero prelevate cellule da un embrione di salamandra che furono poi trapiantate su un altro dove crebbero: fu cosi dimostrato che determinate cellule di un embrione potevano organizzare le altre cellule loro vicine nella complessissima operazione di costituzione di un organismo.

Il filone di ricerca

I due medici vennero premiati con il Nobel nel 1935 e il loro operato ha ispirato numerose ricerche che hanno fatto da base a esperimenti quali la clonazione della pecora Dolly e la riproduzione di cellule embrionali staminali.

Dagli studi di Spemann&Mangold era parso evidente che lo sviluppo embrionale segue una gerarchia di eventi prima di raggiungere la sua completa organizzazione; fino a ora, tale processo non si era mai osservato negli esseri umani ma soltanto su molte specie animali diverse.

Brivanlou e i suoi colleghi sono stati i primi, nel 2016, a coltivare embrioni umani ma il lavoro era stato interrotto prima del punto in cui gli embrioni iniziavano l'organizzazione che avrebbe poi portato allo sviluppo di ossa, arti e organi, a causa delle norme etiche vigenti neglu Usa (il divieto consiste nello sperimentare embrioni umani oltre i 14 giorni). Ora la regola è stata superata grazie allo sviluppo di strutture molto simili agli embrioni da cellule staminali umane.

E' stata così trovata l'ultima tessera del puzzle iniziato nel 1924, proseguito nel 1996 con la clonazione di Dolly e nel 2001 quando un embrione umano era stato ottenuto e fatto sviluppare fino a sei cellule. L'unico tassello ancora ignoto era appunto il regista che permette all'embrione di svilupparsi, che ora è stato individuato in un insieme di geni osservabile fin subito dopo la fecondazione.

"Piattaforma sperimentale che ha miriadi di usi"

Sono le parole di Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell'Università di Pavia, Viene inoltre sottolineato che ciò di cui ora disponiamo grazie al lavoro del team di Brivanlou non sono "strumenti per creare un bambino biondo con gli occhi azzurri", ma strumenti di conoscenza.

Secondo il dottor Redi, le applicazioni di questa scoperta sarebbero molteplici: sarà possibile capire finalmente l'origine dei tumori per esempio, oltre al fatto che ora si potrà osservare da vicino cosa accade quando un individuo comincia a formarsi, o gli effetti sull'embrione di farmaci e sostanze presenti nell'ambiente. Se avessimo avuto queste conoscenze, spiega, non si sarebbe mai verificato un caso-talidomide, un farmaco che negli anni '60 veniva somministrato alle donne in gravidanza e porto alla nascita di bambini con malformazioni.

E' rimasto favorevolmente impressionato dallo studio anche Martin Pera, ricercatore di cellule staminali al Jackson Laboratory, il quale ha affermato che questo lavoro ci porterà a una migliore comprensione degli errori nello sviluppo precoce degli embrioni umani che causano aborti e inoltre che questa tecnica è in grado di superare i problemi etici derivanti dallo studiare embrioni umani in laboratorio.

Infine lo stesso Brivanlou traccia la strada per il futuro: "Il prossimo passo è determinare esattamente come le cellule organizzatrici umane influenzano le cellule vicine. Ciò potrebbe sostenere gli sforzi per manipolare le cellule staminali umane in specifici tessuti o strutture, come parte delle terapie per rigenerre organi e tessuti.