Ci sono eventi nel tempo in grado di creare scissioni permanenti, confini invalicabili in cui c’è un dentro e un fuori, nessun raccordo tra le parti in conflitto. Ci sono guerre, minacce, violenze, distruzioni, eserciti super-equipaggiati scagliati gli uni contro gli altri; cecchini a chilometri di distanza, elicotteri che sganciano bombe, genieri a liberare il terreno, carri armati a sfondare gli avamposti avversari. Comunque vada a finire, le scorie della carnalità storica segnano una linea di divisione i cui effetti sono difficilmente sanabili.

Poi ci sono pistole, fucili a pompa, granate e pistolami d’ogni ordine e grado che provocano l’effetto opposto. Una linea di congiunzione a legare poli agli antipodi, una lingua universale rispolverata per fronteggiare di comune accordo l’evento della giornata soverchiando ogni convinzione ideologica nascosta all’ombra di un videogioco: è il miracolo di Fortnite, ultimo gameplay sparatutto prodotto da Epic games. In 100 sono lanciati su un’isola armati solo di un piccone: lo scopo è quello di uccidere ogni rivale ed essere gli unici a rimanere sul terreno di battaglia. La sopravvivenza deve essere assicurata con ogni mezzo e può essere raggiunta anche grazie al gioco di squadra, in coppia o gruppi di massimo 4 giocatori di ogni angolo del mondo.

È il pvp, gioco player versus player, di gran lunga più popolare del momento e, secondo gli analisti, potrebbe essere il più grande gioco gratuito per console della storia.

La modalità online prevede una Battle Royale a costo zero, mentre la versione offline riserva un pagamento. Il piccone iniziale è essenziale per procurarsi ogni elemento utile alla sopravvivenza, abbattere alberi, costruire barriere ed edifici grazie ai materiali trovati sul terreno nel quale sono sparsi bauli che contengono armi e munizioni con cui effettuare killstreaks, uccisioni in serie volte alla sopravvivenza.

Il tutto avviene in un’atmosfera permeata da una grafica animata preferita alla visione cruda e realistica, in un intreccio di violenza e tattica per sopraffare le abilità dell’avversario, spesso ragazzini che oscillano nella fascia d’età compresa tra i 12 e i 20 anni e che condividono la gioia di una vittoria con balletti stile disco music anni ’70.

Esultanze ormai trasposte anche in campo sportivo dove si passa dal ‘floss’ di Marc Marquez in piedi sulla propria moto ancora in corsa dopo aver tagliato il traguardo, alla ‘Take the L’ di Antoine Griezmann e Dele Alli, calciatori di Atletico Madrid e Totthenam particolarmente colpiti dal balletto con cui accompagnano il goal contro i Losers, i perdenti per l’appunto.

Le partite possono durare da pochi secondi sino a un massimo di 20 minuti, tempo variabile a seconda delle abilità del singolo la cui vittoria conduce punti importanti per ottenere fama virtuale e avanzare nelle classifiche, processi raggiungibili anche attraverso i pagamenti. Difatti i ponti di denaro possono soverchiare facilmente le difficoltà d’approccio iniziali, attraverso la possibilità di acquistare costumi, graffiti, paracaduti, picconi e ogni genere di atrezzo volto ad aumentare l’efficacia delle prestazioni: una logica condivisa con tutti i giochi per smartphone in cui l’applicazione gratuita consente gli acquisti di materiali all’interno.

Secondo le fonti di SuperData, il gioco avrebbe prodotto oltre 233 milioni di dollari comulativamente su tutte le console nel solo mese di Marzo, superando del 73% gli introiti del mese precedente, mentre si attendono i responsi di Maggio, mese in cui l’aggiornamento prodotto dalla caduta di un meteorite sul terreno da gioco ha aperto le porte per una nuova ondata di gamers che presuppongono altettanti fiumi di denaro. Basti pensare all’aumento del 700% sulla produzione di cuffie, strumento attraverso il quale gli utenti comunicano le proprie tattiche in concomitanza con gli altri giocatori provenienti da ogni parte del mondo e uniti sotto un’unica lingua, un unico terreno e un unico scopo: sopravvivere più dell’altro.

Un obiettivo che trascende gli stereotipi collettivi di un videogame in atmosfere da cartone animato per soli ragazzini: a confermarlo ciò che accade negli Stati Uniti, dove ormai da mesi gli psicologici intervengono in trasmissioni televisive e negli spazi dei quotidiani nazionali per fornire indicazioni utili ai genitori di ragazzini affetti da dipendenza patologica da Fortnite, la Battle Royale più importante della storia.

La twitch generation: guardare gli altri giocare è motivo di ricompensa

Se c’è una sfumatura che accende grandi perplessità, deriva in larga parte da una pratica molto comune scindibile ad almeno due livelli: l’osservazione. Se da un lato, infatti, è mezzo attraverso cui rimanere nascosti ‘lecitamente’ in punti semi oscuri della mappa nel tentativo di arrivare alla fine di un duello, dall’altro apre la strada ad una interpretazione differente in cui si trova divertente guardare altri gamers giocare concedendoli anche qualche ricompensa.

Il primo punto fa riferimento ad una ‘osservazione attiva’ che consiste nel nascondersi in cespugli o affini guardando gli altri avversari affrontarsi all’ultima kill: una pratica spesso usata dai giocatori meno abili che bazzicano di affrontare gli ultimi rocamboleschi minuti della battaglia, in cui una serie di coincidenze fortunose potrebbe portarli alla vittoria. D’altra parte emerge una situazione dai tratti decisamente più foschi che connota questi ragazzi come appartenenti alla Twitch Generation. Twitch è una piattaforma online pensata per videogiocatori e recentemente acquistata da Amazon per la modica cifra di 970 milioni di dollari, in cui campeggiano solo live streaming di una vastissima serie di videogiochi tra cui il più popolare è Fortnite.

Milioni di ragazzi in tutto il mondo acccedono alla piattaforma che può considerarsi come lo ‘Youtube dei videogiochi’ in cui molti gamers mostrano le proprie abilità godendo di una visibilità elevata, dovuta in larga parte alla piacevole sorpresa di guardare i giocatori più abili per migliorare di riflesso le proprie prestazioni. Le due funzioni, spettatore e gamer, si intersecano nel paradiso dei videogiocatori, in cui la speranza di riuscire ad emulare le gesta dei ragazzi più abili difficilmente si scinde da una certa smania e assuefazione che porta a danzare per casa o restare incollati allo schermo per ore e ore, giocando, osservando, acquistando.

Un sistema che desta particolare attenzione è poi quello delle ‘donazioni’: i gamers professionisti usufruiscono delle piattaforme Twitch con la possibilità di ricevere compensi pecuniari da parte degli spettatori, riservando loro la possibilità di essere citati e ringraziati nel video.

La star in Italia è Cicciogamer89, con oltre 2,5 milioni di iscritti nel suo canale; numeri ragguardevoli, ma decisamente inferiori rispetto agli 11 milioni di Ninja, ragazzo statunitense tra i migliori in circolazione. Una spirale ambigua quella di Fortnite, un gioco gratuito che coinvolge ragazzini di tutte le età con la possibilità non troppo remota di stuzzicare la ludopatia, senza considerare il danno potenziale dettato dal sistema delle donazioni cui sono sensibili i ragazzini più piccoli alle prese con i conti dei genitori.

La fortuna di questo gioco può riscontrarsi in un incrocio tra vari elementi colti dalla tradizione: la battle royale, il TPS, il crafting. Così facendo il binomio costituito dai giocatori trovatisi per caso (c.d.

casuals) e quelli più abili (c.d. pro gamer) conduce a sfide all’ombra del ‘mors tua vita mea’ che non può prescindere da una parola chiave: il divertimento. In questa prospettiva si denotano i tratti caratteristici dei balletti, della grafica cartoon, dei ragazzi di tuttte le età incollati dinanzi allo schermo per appagare la ricerca costante di nuovi stimoli, trovando uno sfogo decisivo nelle ‘kill’ non troppo violente, nei fortini costruiti ad hoc, nella smania di migliorare il proprio rendimento. Di contro avanzano in blocco le problematiche trasversali a diversi sistemi: la ludopatia e lo sperpero di denaro prelevato dalle tasche dei genitori che fanno un tutt’uno con le donazioni, nuovo volto della Twitch Generation.