Con l’approvazione del sildenafil (Viagra), negli anni ’90, nel trattamento della disfunzione erettile, diventava popolare un enzima, la fosfodiesterasi tipo 5 (PDE5). In seguito si scoprì che l’inibizione selettiva di questo enzima poteva essere sfruttato anche in altri ambiti come l’ipertensione arteriosa polmonare e la sindrome di Raynaud. Ora invece si sta scoprendo che questi farmaci possono essere utili anche in ambito oncologico. Ad esempio, se associati agli immunomodulatori, farmaci tanto in voga adesso nelle terapie anticancro, ne aumentano l’attività immunomodulatoria mentre se associati a chemioterapici cardiotossici, come la doxorubicina, ne riducono la cardiotossicità.
Grazie alla loro capacità di superare la barriera ematoencefalica, potrebbero trovare applicazione nel glioblastoma, come enhancer terapeutico dei farmaci antitumorali.
Repurposing in ambito oncologico
Facendo una rapida ricerca (inibitori PDE5 e cancro) sul motore di ricerca PubMed vengono fuori molti lavori pubblicati in questi ultimi mesi. Questo a conferma delle recenti evidenze cliniche, in ambito oncologico, degli inibitori selettivi della fosfodiesterasi cGMP di tipo 5 (PDE-5), in particolare sildenafil (Viagra), vardenafil (Levitra), tadalafil (Cialis). Poco invece, con l’ultimo approvato della serie, avanafil (Spedra).
Si tratta di un riposizionamento oltre la loro prima indicazione, la disfunzione erettile, e la seconda indicazione, l’ipertensione arteriosa polmonare.
Lo descrive proprio in questi termini un lavoro pubblicato su eCancerMedicalScience dal titolo: “Repurposing drugs in oncology (ReDO)-selective PDE5 inhibitors as anti-canceragents”, prima firma Pan Pantziarka.
Questo lavoro passa a rassegna i tre principali inibitori della PDE5 e le relative indicazioni cliniche. Tutto iniziò negli anni ’80, con una ricerca della Pfizer sull’impiego di uno di questi inibitori, il sildenafil, nell’angina pectoris.
Lo studio clinico iniziò nel 1991. Gli “effetti secondari” inattesi, osservati nei pazienti maschi arruolati nello studio, convinsero la Pfizer a studiare questo prodotto nella disfunzione erettile. Lo studio clinico iniziò nel 1993, per arrivare alla sua approvazione nel 1998, sia negli Stati Uniti (FDA) che in Europa (EMA).
In questi 20 anni il sildenafil è stato approvato anche per l'uso nell’ipertensione arteriosa polmonare e altre indicazioni, come la sindrome (o fenomeno) di Raynaud, una malattia rara a carico delle arterie, caratterizzata da brevi vasospasmi, ovvero un restringimento dei vasi sanguigni alla punta delle dita, delle mani o dei piedi, che diventano bianche o bluastre.
Anche il tadalafil ha trovato altre applicazioni come nell’ipertensione arteriosa polmonare e l’iperplasia prostatica benigna. Poco invece è descritto sull’ultimo inibitore PDE5 approvato, l'avanafil (Spedra), così come l'udenafil (Zydena), approvato da EMA nel trattamento della cardiomiopatia congenita funzionale del ventricolo singolo mentre per il trattamento della disfunzione erettile è disponibile solo in Russia, Corea del Sud, Filippine e Malesia.
La PDE5 nei tumori
Sono anche italiani i ricercatori che hanno messo in evidenza il rapporto tra fosfodestierasi e cancro. Un lavoro dell’Università di Calabria, pubblicato a novembre dello scorso anno su Oncotarget, prima firma Ines Barone, ne descrive in modo dettagliato questa relazione. E qualche mese prima, sempre su Oncotarget, un’altra ricerca italiana, con la partecipazione dei ricercatori dell’Università Tor Vergata di Roma, prima firma Valeriana Cesarini, mette in relazione la PDE5 con l’aggressività del glioblastoma multiforme. Avevamo già parlato di come il Viagra così come altri farmaci della stessa classe, non devono esse più considerati farmaci utili solo nelle disfunzioni sessuali ma come strumenti utili in vari ambiti.
Il vero limite dello sviluppo di questi farmaci per altre applicazioni sta proprio negli aspetti brevettuali. Infatti, scaduti i brevetti questi inibitori selettivi PDE5 sono ampiamente disponibili come “generici o equivalenti”. Alcuni sforzi sono stati compiuti per proporre delle formulazioni più moderne ma rimane il fatto che sono comunque disponibili a basso prezzo. Per un’azienda fare enormi investimenti, per degli studi clinici, senza la protezione di un brevetto, c’è il rischio di fare investimenti a perdere. È questo il vero limite ad ulteriori sviluppi di questi farmaci. Finché non cambieranno le regole, difficilmente ci saranno aziende che investiranno in questo senso e, come stiamo vedendo, per ora si tratta prevalentemente di ricerca universitaria.