Il primo trapianto di faccia avvenuto al Sant'Andrea di Roma potrebbe avere delle complicazioni. Quello che sembrava un intervento degno della più importante avanguardia chirurgica a livello mondiale e perfettamente riuscito, potrebbe avere un destino segnato dalle complicazioni. La paziente non è comunque in pericolo di vita, ma il rischio rigetto viene confermato e l'equipe, impegnata nella delicatissima operazione, ha annullato la conferenza stampa prevista per raccontare al mondo i dettagli di uno straordinario intervento. Non a caso, in occasione della prima comunicazione pubblica, era stato sottolineato come l'operazione ricevuta dalla donna quarantanovenne era perfettamente riuscita, ma solo sul piano tecnico.

Ossia, non veniva fatta menzione di un possibile decorso che, al momento, sembra aver fatto emergere delle complicazioni legate al così detto "microcircolo".

Si pensa ad un auto-trapianto

A dare problemi è il mancato attecchimento del lembo di pelle trapiantato sulla paziente, dato che non è stato possibile attivare il microcircolo. Allo stato attuale i medici che assicurano che la donna non è in pericolo, starebbero pensando ad una ricostruzione temporanea con delle parti di pelle provenienti da altre zone del corpo della donna, in attesa di un nuovo donatore. A dare problemi è il mancato attecchimento del lembo di pelle trapiantato sulla paziente, dato che non è stato possibile attivare il micocircolo.

Occorre ricordare che la donna era perfettamente al corrente delle possibili conseguenze, ma era determinata a combattere la patologia fortemente deturpante e rara che la affligge: la neurofibromatosi di tipo 1.

Trapianto di faccia: disagi comuni entro un anno dall'operazione

Uno dei primi chirurghi al mondo ad effettuare interventi di questo tipo è stato Bohdan Pohamac, il quale ha avuto modo di sottolineare che l'evenienza del rigetto e la mancata attivazione del microcircolo (o l'interruzione) rappresentano eventualità piuttosto comuni.

Addirittura si stima che il 90% dei pazienti si trovi a convivere questi disagi entro un anno dall'operazione e la prima terapia di contrasto è prettamente farmacologica. Ad essere utilizzati sono dei medicinali che inibiscono una parte del sistema immunitario dei pazienti, responsabile del rigetto. Chi non risponde al trattamento deve prepararsi ad un nuovo trapianto. E seppur i tempi siano sensibilmente diversi sembra essere lo stesso destino dalla donna attualmente ricoverata presso l'ospedale di Roma.