Il recente caso del calciatore dell’F.C. Internazionale, Wesley Sneijder, ha riportato alla stretta attualità un tema caro a molti: è ancora possibile parlare di “moralità” nel mondo del calcio?
La vicenda, il cui eco è stato amplificato da molteplici canali d’informazione sportivi e non, ha visto e vede tuttora il centrocampista olandese impegnato in una difficile trattativa con la società di appartenenza, l’F.C. Internazionale di Milano, finalizzata alla ridiscussione del suo contratto di lavoro.
La società, in relazione alla nuova politica aziendale improntata sul fair-play finanziario (progetto, introdotto dall’UEFA, mirante ad indurre le società calcistiche ad un auto-sostentamento finanziario), ha proposto al suo tesserato un allungamento del contratto in essere, in termini di durata, alle medesime cifre ovvero un’operazione finalizzata a “spalmare” i compensi percepiti su un orizzonte temporale più lungo.
Il calciatore, tramite il suo procuratore, ha fatto sapere di non essere intenzionato a modificare il contratto da 6 milioni di euro a stagione, sottoscritto volontariamente da entrambe la parti nel 2010, nell’euforia dei fasti del Triplete neroazzurro.
Ma è proprio questo il nodo attorno al quale dibatte l’opinione pubblica: è realistico parlare di diritti violati dei “lavoratori”, di mobbing, di forzature contrattuali riferendosi a sportivi che guadagnano milioni di euro ogni anno?
Lontani dal voler far pendere la ragione dall’una o dall’altra parte ci limitiamo ad evidenziare alcuni aspetti oggettivi della vicenda.
L’F.C. Internazionale, in considerazione ai nuovi parametri UEFA e sensibilizzata dalla situazione sociale correlata alla grave crisi dei mercati finanziari, ha cercato di intraprendere una strada coraggiosa tesa alla razionalizzazione dei costi di gestione attraverso la riduzione del monte ingaggi dei propri tesserati.
La lotta alla “politica dello spreco” ha contagiato tutti i settori della vita comune ed il mondo del calcio non ne è rimasto esente.
Il calciatore, d’altronde, si è trincerato dietro le teorica (e corretta in linea di principio) pretesa del rispetto degli accordi prestabiliti.
La chiave di lettura della diatriba, sta proprio nel rispetto delle regole, nella sbandierata richiesta di un trattamento paritario a tutti gli altri “lavoratori” effettuata dal calciatore e dal suo procuratore.
Nel mondo contemporaneo, cosi profondamente segnato dalla crisi economica, il cittadino comune vede ogni giorno intaccata la sua capacità di risparmio e di autosostentamento a causa di nuove tasse o dell’incremento di quelle esistenti, a causa della progressiva scomparsa di benefit aziendali e talvolta dell’allontamento dal posto di lavoro per mancanza di risorse.
I calciatori, appartengono a una classe sociale privilegiata, toccata sì dalla crisi economica, ma non cosi profondamente da intaccarne il potere d’acquisto o il mantenimento del loro status sociale. E non è su tale figura che dovrebbero ricadere i sacrifici maggiori in termini di razionalizzazione delle risorse economiche e di ridiscussione di accordi stipulati quando il “troppo” era usanza comune?
Tutti sono soggetti alla crisi del mondo contemporaneo, ed anche i calciatori, che tramite i loro rappresentanti, alimentano quotidianamente venti di uguaglianza, dovrebbero comprendere come non solo sia troppo quanto chiedono da oggi, ma anche quanto ricevuto fino ad oggi, e quanto proposte, seppur dal carattere unilaterale, come quelle effettuate dall’F.C.
Internazionale, rappresentino l’unica strada verso la piena sostenibilità economica del mondo del calcio, troppo spesso abituato a ragionare con molte più risorse rispetto a quelle effettivamente a disposizione.