Arrivato in estate tra lo scetticismo generale, mentre sull’altra sponda del Tevere approdava in pompa magna il boemo Zeman,Vladimir Petkovic è sicuramente una delle novelle più liete e sorprendenti di questa prima metà di campionato. E’ stato fortemente voluto da Lotito e si può dire che, nel mezzo del cammin del campionato in corso, il presidente della Lazio abbia già vinto la sua scommessa.

E pensare che ad agosto c’era già chi pronosticava un esonero lampo per il tecnico serbo, stante il pre-campionato disastroso della Lazio che aveva collezionato sconfitte a ripetizione.

Invece, succede forse quello che nemmeno il più ottimista dei tifosi laziali poteva aspettarsi. Lazio seconda in classifica al giro di boa, Lazio sui livelli di quella di Eriksson del campionato 1999/2000 (e i tifosi bianco-celesti al solo pensieri già sognano), Lazio che ha tutti i numeri per continuare a stupire.

La squadra di Petkovic è indubbiamente squadra solida, quadrata e con individualità di spicco dalla metà campo in su. Il centrocampo biancoceleste è sicuramente uno dei reparti più attrezzati della serie A, con la qualità di Hernanes, alla quale si unisce la qualità e quantità di giocatori come Ledesma, Mauri, Candreva, etc.. In attacco poi, l’eterno Klose (altra scommessa vinta di Lotito) fa reparto da solo e continua a segnare come negli anni bavaresi .

Petkovic si è preso il lusso di lasciare ai margini del progetto Lazio un giocatore come Tommaso Rocchi, bandiera e simbolo per i tifosi laziali (passato in questi giorni all’Inter), nonché il solito Zarate che, dopo il primo brillante anno in Italia, è rimasto ostaggio del proprio carattere e di una fase involutiva.

A guardare bene, il reparto meno forte (almeno sulla carta) è la difesa, anche se l’enorme lavoro fatto dai centrocampisti permette alla squadra di avere una buona copertura in tal senso. Se poi aggiungiamo la straordinaria stagione di Marchetti, ecco che la Lazio si candida davvero a lottare per le prime posizioni sino alla fine del campionato. L’estate romana parlava il “boemo”. Chissà che la primavera non parli il “serbo”.