Sembra il soggetto ideale per un film.Il protagonista è Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers, ovvero uno dei giocatori chiave dello sport americano per eccellenza.
Il suo stile di gioco è tra i più particolari del settore, in un ruolo che non prevede grandi movimenti sul campo, Kaepernick si è distinto per le sue corse in solitaria, antitetiche al ruolo di mero lanciatore, difeso dai propri compagni mentre cerca il ricevitore giusto per il touchdown.
A vederlo sembra il classico personaggio larger than life: grosso, divo, dal look curato, pieno di tatuaggi e, ovviamente, ricchissimo.
Un privilegiato insomma, figlio interrazziale sì, ma adottato e cresciuto da una coppia di bianchi, che fino a poco tempo fa riusciva a far parlare di sé più per alcune pessime giocate che per altro.
L'inizio silenzioso della protesta
Durante un match di pre-season coi Green Bay Packers è stato fotografato seduto durante l'inno americano, suonato ritualmente prima di ogni partita. I capelli lunghi in stile afro e lo sguardo corrucciato, immortalati da uno scatto finito su instagram, hanno infatti aizzato la rete contro di lui. È seguita un'intervista negli spogliatoi (pratica comune negli USA) dove ha prontamente affermato: 'Mi rifiuto di alzarmi e mostrare orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime la gente di colore e le minoranze.
Per me questa presa di posizione è ben più importante del football e sarei un egoista se mi girassi dall’altra parte. Ci sono corpi per le strade e gente pagata per farla franca.'
L'ira funesta dell'orgoglio americano
Le parole di Kaepernick non hanno fatto in tempo a rimbalzare nell'etere, che video di persone intente a bruciare la sua maglia e critiche pesanti da parte di alti dirigenti della NFL erano già pronte a polarizzare l'attenzione mediatica sul significato sbagliato di un gesto fatto per nobili principi.
Perfino Obama si è scomodato a difenderlo, contro un Donald Trump che, coerente con la sua politica di attacco perpetuo, lo ha invece 'pacatamente' invitato a 'cambiare paese'. Nel frattempo le vendite della sua casacca si sono impennate e i relativi proventi velocemente reindirizzati in beneficenza dallo stesso quarterback.
La squadra si è detta vicina al giocatore pur non condividendone la posizione, mentre diversi giocatori di altre squadre (e successivamente anche di altri sport), nelle partite seguenti, hanno cominciato a seguire il suo esempio.
Faccia riflettere come un americano considerato anti-patriota (e perfino filo-islamico nelle ultime ore) venga successivamente difeso proprio da veterani di guerra (quindi 'veri' patrioti) con l'hashtag #VeteransForKaepernick senza però riuscire a placare l'ondata di odio fatta nascere con un semplice gesto di coscienza civile.